Robin Wright: “Faccio l’attrice per caso. E’ stato difficile conciliare maternità e carriera, c’è tanto da fare ancora. Il set più divertente? Forrest Gump”

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Quarant’anni di una carriera iniziata piroettando con una bibita gassata in mano, la pipi fatta adosso per le troppe risate con Tom Hanks, l’adorabile ferocia di Girl Underwood, l’orizzonte da regista in un movie alla Harold e Maude. Di Robin Wright, 56 anni, colpiscono, ancor più dell’eterna bellezza, l’ironia cresciuta nel tempo e l’approccio diretto con cui buca la coltre digitale di un incontro through zoom. Trentasette anni dopo il ruolo che la rese famosa, la principessa Bottondoro, La storia fantastica di Rob Reiner, la ritroviamo regina cattiva quanto un drago, decisa a divorare Millie Bobby Brown in Damsel, kolossal fantasy che spopola su Netflix. «Il regista Juan Carlos (Fresnadillo ndr.) mi ha convinto con questa sua favola non convenzionale, che rovescia quella delle fiabe classiche viste tante volte. Qui i cattivi sono due, la mia regina cattiva e un drago. Ma entrambe sono femmine ed entrambe agiscono in un modo moralmente orribile, ma per un’ottima causa».

A chi si è ispirata per la spietata sovrana?

«È nata nel momento in cui ho indossato il suo corsetto — a proposito, tutti i tessuti venivano dall’Italia — la costrizione, il peso degli abiti, della parrucca, della corona ha determinato il modo di stare in piedi, l’incedere, l’accento».

Come sceglie i movie, oggi?

«Tutti cresciamo, attraverso l’esperienza di vita e i capitoli che attraversiamo. Tutto questo influenza i ruoli. A volte sei in un momento felice e non vuoi interpretare una persona depressa e piangente, non vuoi arrivare in quel posto emotivo e quindi speri in una commedia. Recitare è un lavoro che richiede di mettere in campo tante emozioni, con cui devi fare i conti».

Torniamo a quarant’anni fa. Perché l’attrice?

«Mai voluto recitare. Pensavo che sarei diventata una ballerina, nel frattempo lavoravo da modella. Mi hanno scritturato in un spot in cui dovevo ballare piroettare tenendo in braccio un bibita gassata. La mia agenzia aveva due dipartimenti, moda e teatro, un’agente teatrale ha visto uno dei miei spot e mi ha convinto a tentare audizioni per i ruoli. Lei e suo marito erano anche insegnanti di recitazione e canto, mi hanno preso sotto la loro ala, mi accompagnavano ai provini. Due nonni surrogati».

Nella sua filmografia c’è un prima e un dopo “Home of playing cards”.

«E’ stato un gran dono, ottenere quel ruolo. Lo abbiamo sviluppato in sei anni, creato un personaggio multidimensionale, non solo la moglie di un politico. È stato emozionante farlo con David Fincher al timone, grande mente creativa, ho lavorato con lui in La ragazza con il tatuaggio del drago. Quella di “Home” period una famiglia, una troupe incredibile, la possibilità per me di dirigere per la prima volta e di imparare mentre lo facevo».

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Kevin Spacey ha avuto le prime assoluzioni: potrà quindi ricominciare a lavorare.

«Non lo so, pensavo fossimo qui per parlare di Damsel».

Lei è stata una madre giovane (due figli con Sean Penn ndr.), dura conciliare maternità e carriera?

«E’ stato difficile, certo. Lo sanno tutte le madri che lavorano, c’è tanto da migliorare. È impegnativo, ma cerchi di farlo funzionare. Se vuoi continuare advert essere creativo e restare nel enterprise a lungo devi essere strategico e selettivo».

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Il set più difficile?

«Complicità e sospetti, con Jude Regulation e Juliette Binoche. Ero una donna svedese che parlava l’inglese con il suo accento. Non riuscivo, sono impazzita. Ma period un gran ruolo, in un gran movie di Anthony Minghella. L’accento poi non l’ho azzeccato, ma ho spuntato anche questa casella»

Il ricordo più bello?

«La storia fantastica. È stato il primo grande movie, la prima esperienza vera. Eravamo un gruppo di americani catapultati in Inghilterra. Abbiamo girato al Nord, in un castello del 1300, la sera tornavamo in una piccola locanda, il ristorante period chiuso, cucinavamo noi. Ci siamo legati come una famiglia, il giorno sul set, la sera a mangiare e bere vino, qualcuno suonava la chitarra, cantavamo e ballavamo»..

Istantanea tragicomica?

«Ha presente quando la gente cube, “oh Dio, ho riso tanto che mi sono fatto la pipì addosso”? In Forrest Gump, Tom Hanks mi ha fatto ridere tanto che mi sono fatta la pipì nei pantaloni per davvero».

Le persone che la fermano per strada quali movie le citano di più?

«La storia fantastica e Forrest Gump, sanno le battute a memoria e la cosa mi piace, è dolce».

Lei e Tom Hanks di nuovo insieme in “Right here” di Zemeckis.

«Sì. In trent’anni nessuno di noi period morto, abbiamo rimesso insieme la band. Con lo sceneggiatore di Forrest Gump. È un ritorno a casa».

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FORREST GUMP [US 1994] ROBIN WRIGHT PENN AND TOM HANKS A PARAMOUNT PICTURE Date: 1994 

All’orizzonte?

«Dirigere storie che mi parlano emotivamente oggi. Girerò una commedia nera, una vicenda originale, che non si vedeva da Harold e Maude, nel ‘’71. Una storia tra una donna anziana e un ragazzo giovane, il cinema non l’affronta spesso, neanche oggi».

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