‘Grand tour’, la bellezza delle immagini tra una voce fuori campo e un romanzo coloniale

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Mancano solo due giorni alla fantastic del concorso di Cannes (quattro movie, fra giovedì e venerdì) e le posizioni, almeno nei giudizi della critica, si stanno delineando. Fermo restando che il movie mediamente più apprezzato è finora il narco-trans-musical Emilia Pérez di Jacques Audiard, oggi è passato in competizione un movie abbastanza straordinario: Grand tour del portoghese Miguel Gomes, classe 1972, ex critico rivelatosi al competition di Berlino nel 2012 con Tabu e poi assai apprezzato, qui a Cannes, alla Quinzaine nel 2015 con il fluviale Le mille e una notte.

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Grand tour è un movie particolare, che non assomiglia quasi a nulla di ciò che normalmente si vede al cinema. Si svolge – così ci cube una onnipresente voce fuori campo – nel 1917 ma si vedono telefoni cellulari e automobili moderne; è girato quasi tutto in bianco e nero ma con inserti a colori che sembrano digressioni sul concetto stesso di narrazione (spettacoli di marionette, ombre cinesi, intermezzi musicali); è ambientato in Asia, è un lungo viaggio da Mandalay (Birmania) alle foreste della Cina ma è stato girato… in Italia, in teatro di posa, con riprese successivamente “accoppiate” a materiali girati in alcune zone dell’Asia Orientale. Non a caso la fotografia è firmata da tre persone: Rui Poças, Sayombhue Mukdeeprom e Gui Liang: il secondo è thailandese ed è collaboratore fisso del regista thai Apichatpong Weerasethakul, che fa movie magari molto autoriali ed esoterici ma la cui qualità visiva è sempre altissima.

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La particolarità di Grand tour, oltre che nella bellezza misteriosa delle immagini, è tutta nella dialettica tra la voce fuori campo e il dipanarsi della narrazione. La voce off legge quello che potrebbe essere un romanzo “coloniale” alla Kipling: nella prima parte l’inglese Edward parte dalla Birmania e viaggia verso Est anche con mezzi di fortuna per sfuggire a una fidanzata che non vede da sette anni e che sta cercando di raggiungerlo per sposarlo; nella seconda, seguiamo il viaggio della fidanzata Molly – anch’ella inglese – al vano inseguimento del suo uomo. I due personaggi sono interpretati da Gonçalo Waddington e Crista Alfaiate, attori portoghesi, e parlano rigorosamente portoghese. Ma l’effetto non è fastidioso are available Limonov, dove è assurdo sentire un personaggio russo realmente esistito esprimersi in inglese anche quando parla con altri russi; qui siamo in una narrazione astratta e senza tempo (Brecht avrebbe detto “epica”) ed è come se leggessimo Salgari senza minimamente stupirci che Sandokan e Tremal-Naik parlino in italiano.

Sullo schermo vediamo scorci di viaggio e incontri esotici che vanno spesso in contraddizione rispetto alla voce off. Spariamola grossa, appoggiandoci al fatto che Gomes è stato anche un critico: Grand tour è una riflessione sulle varie forme di racconto che il cinema può utilizzare (parole, immagini, musica e soprattutto montaggio). Poi, è anche una parabola sul colonialismo, un fenomeno storico nel quale gli inglesi l’hanno fatta da padroni ma anche i portoghesi hanno il diritto e il dovere di dire la loro. Movie notevolissimo, che meriterebbe qualche premio, ma chissà se la giuria avrà la voglia e la pazienza di apprezzarlo. È stato acquistato dall’Italia per Fortunate Crimson, avremo tempo e modo di segnalarlo ulteriormente.


Grand tour

Regia di Miguel Gomes

Voto: 4 stelle su 5

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