Dopo il pageant l’Italia torna quella che è

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L’unità d’Italia è sempre professional tempore. Dura il tempo che dura un campionato di calcio, o il tempo che dura Sanremo. Intervallato di continuo, quest’anno, dalle observe dell’inno di Mameli, per by way of degli spot pubblicitari legati alla fiction: surreale cortocircuito proprio mentre esplodeva crudamente il derby nord contro sud. O meglio: tutti contro i napoletani.

Il rigurgito antimeridionalista fa schifo, e molti hanno faticato a nasconderlo dietro le preferenze musicali. L’unità d’Italia è un sistema impallato: come quello del televoto. Io, per dire, ho votato Bertè tre volte, e non ho avuto mezza conferma.

Quanto al verdetto finale, si è visto, l’autonomia differenziata differenzia il plebiscito popolare per Geolier dal voto della “casta mediatica”. Così l’ha chiamata Frankie hi-nrg, indossando la casacca populista per attaccare Angelina Mango. E diventando – lui, un anti-sistema – un meloniano-renziano formato pageant pronto a propugnare l’elezione diretta di chiunque.

Dall’amministratore di condominio al presidente della Repubblica al vincitore di una gara di canzoni. Ecco qua: il Sanremo ecumenico e bulimico di Amadeus si infrange contro le nevrosi polemiche del giorno dopo. E nella gara a chi è più stronzo non serve il televoto.

D’altra parte lo stesso conduttore, di solito serafico, ha tradito – sentendosi bersaglio di critiche ingiuste – qualche moto di stizza nel corso delle conferenze stampa, simili quest’anno a psicoterapie. Finito Sanremo, l’Italia è quello che è: Gasparri (aiuto!) chiede ai vertici Rai di scusarsi con Israele, mentre Fratoianni ringrazia Ghali per avere urlato «cease al genocidio».

L’Italia torna a essere quello che è: la cumbia della noia. È una cumbia, per fortuna, ma comunque resta il ballo di un Paese di gente risentita e iper-suscettibile. Forse anche un po’ razzista. Si compatta nello share bulgaro, e subito si ripolverizza in un lampo, cercando pretesti per scornarsi con qualcuno: Napoli, il napoletano (quanti filologi e linguisti all’improvviso!), le foibe (quanti storici!), Sergio Endrigo, il discorso sull’amore scambiato per discorso sul femminicidio, il ballo del qua qua, i prossimi conduttori. Intanto, cala il sipario e si annuncia, perfino a Sanremo, una riforma elettorale.

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