Giulia Calenda: “Con Paola Cortellesi siamo una squadra. Il successo di ‘C’è ancora domani’? È arrivato al momento giusto”

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Giulia Calenda è in partenza verso Sorrento, per il Biglietto d’oro assegnato a C’è ancora domani, di cui firma la sceneggiatura con Paola Cortellesi e Furio Andreotti. La voce al telefono è ridente e spontanea: “Quale momento migliore? Non c’è niente di più bello del pubblico per noi, per me. E che abbia così tanto amato il movie è meraviglioso”. Figlia di Cristina Comencini, nipote di Luigi, sorella di Carlo Calenda, la sceneggiatrice ha alle spalle vent’anni di mestiere, un sodalizio collaudato con la squadra Cortellesi-Milani e tanti successi firmati (da La bestia nel cuore a Nata per me, Scusate se esisto, Come un gatto in tangenziale, Acciaio) fino al film-fenomeno che ha appena superato i 25 milioni d’incasso.

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Giulia Calenda

 

Che concept vi siete fatti di questo successo così straordinario?
“Ci siamo interrogati tanto. Io personalmente credo che questo movie dia grandissima speranza. Penso che in questo momento la gente ha bisogno di sperare e quel finale soprattutto dà la sensazione che ognuno di noi in qualunque situazione, difficoltà, si trovi ce la può fare, può tirare fuori la testa dall’acqua. Ma ce la può fare non da sola, ce la può fare insieme agli altri. Vince l’concept di una speranza collettiva, perché lei, la protagonista, su quella scala, quando esce e si ritrova lui, non è più sola: ci sono tutte quelle persone vicino a lei e questo ti dà una sensazione di grande forza e grande speranza. Poi c’è una cosa che penso, ed è che esiste una sorta di involontarietà dell’arte, cioè il movie è entrato in un momento storico, come se fossimo sull’onda di un cambiamento molto grande che però non sta avvenendo e il movie si è messo in questo cuneo”.

È un movie che ha una personalità, nel contenuto ma anche nella modalità di racconto, dai balletti per raccontare la violenza, al bianco e nero.
“Nel movie c’è la quintessenza di Paola, che è una donna coraggiosa, ed è una grande prova di coraggio. Perché quando questo movie period un foglio bianco e ha cominciato a prendere forma con l’concept del bianco e nero, l’concept di una donna underdog, vessata in quel modo, l’concept dei balletti, spaventava molto. Abbiamo osato e forse c’è bisogno di movie capaci di osare, in cui ci si crede veramente, autentici. Noi ci abbiamo creduto tantissimo, l’unico parametro che abbiamo quando scriviamo è “noi andremmo a vederla questa storia? Ci sembra una cosa diversa per cui valga la pena di uscire e andare al cinema?”.

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Quando si è formata la squadra per la sceneggiatura?
“Giulio e Paola si conoscono da prima, da quando facevano insieme la television. Sono arrivati a me tramite l’agente che abbiamo in comune, cercavano una sceneggiatrice pura di cinema, all’epoca di Scusate se esisto, altro movie a tema femminile, sempre al centro negli interessi di Paola, e così sono entrata nella squadra con loro e Riccardo Milani. Siamo ormai una squadra. Questo è un lavoro che si fa insieme. Il ricordo più bello per noi è quando eravamo sulla terrazza di Paola a cercare il soggetto del movie, scambiandoci chiacchiere, idee, libri. La parte bella di questo movie è stata trovare il soggetto. Perché noi eravamo sotto choc come tutti per i femminicidi, le violenze contro le donne che leggiamo sui giornali. E volevamo tanto trattare il tema in qualche modo, ma non sapevamo come. E non potevamo farlo in altro modo, perché noi trattiamo temi gravi con la leggerezza della commedia, è una cifra a cui non rinunciamo mai. In questo caso period difficile farlo. Ma poi pian piano lo abbiamo trovato in questa donna, in questa famiglia, in questa situazione”.

Lei viene da una famiglia d’arte. Ma il cinema non è stata la sua prima scelta.
“No, assolutamente. Io, come tanti figli di, nipoti di, ho cercato in tutti i modi di non fare questo mestiere, perché quando sei ragazzo ti vuoi differenziare. E quindi non volevo restare in quel solco, che period già abbastanza forte, per me. Io mi sono dedicata da sempre alla musica, ho studiato violino, piano e composizione a Milano. Ma a un certo punto, anche per caso, grazie a un’amica, mi sono trovata a scrivere un documentario su Verdi, la musica lirica è la mia più grande passione. Non so se l’ha trovato mamma o gliel’ho mostrato io, ma lei mi ha detto: “Perché non fai questo mestiere che ti viene così bene, visto che scrivi così bene?” E a quel punto ho cominciato a lavorare con lei, che mi ha insegnato tutto. A mamma devo questo: perché lei, oltre che una grande regista, prima di tutto è una grande sceneggiatrice”.
Con lei e Francesca Marciano avete lavorato a La bestia nel cuore.
“Sì, Francesca è stata la mia altra fortuna. Ci ho pensato l’altro giorno, quando mi ha chiamata per farmi i complimenti, il movie ha raccolto tanto entusiasmo anche tra la gente di cinema. Mi sono ricordata di quando lavoravo con lei, della sua grande bravura. Ho iniziato con lei e mamma, due sceneggiatrice pazzesche. È stata una scuola incredibile. Tra l’altro La bestia nel cuore period un movie molto duro, trattava un argomento molto grave mantenendo comunque una parte di commedia all’interno. Poi certo entrò in cinquina all’Oscar e fu una cosa enorme”.

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Ma lei da ragazzina è stata sui set di mamma o di nonno Luigi?
“Sempre, sempre. Ero una bambina parcheggiata sul set. Mamma scriveva con nonno e andava sul set a vedere. Ricordo che mi coprivano, faceva freddo in una di quelle sedie vicino al regista, e io mi ricordo le attese, aspettavo mamma che finisse. Mi ricordo per esempio il Ghetto de La storia di mio nonno. Quel bambino che nonno doveva far recitare, come si comportava per lui. È un ricordo forte. Tra l’altro mi è capitato una sorta di contrappasso perché adesso ho scritto anche La storia io, con Francesco Piccolo, Ilaria Macchia e Francesca Archibugi. E quindi mi sono trovata a scrivere quella cosa che avevano scritto mia madre e mio nonno tanti anni fa. Ma lo sceneggiato non l’ho mai visto né voluto vedere ora, per non farmi condizionare”.

Il rapporto con nonno?
“Period una figura immensa, per noi, per me. Pinocchio è il ricordo più forte, perché l’ho visto con lui. È il ricordo di me bambina. E poi l’ho rivisto con i miei figli, con occhi nuovi. E con loro ho rivisto Lo scopone scientifico, che sanno a memoria, citano le battute per casa, per me è un capolavoro, esattamente la commedia all’italiana su cui mi piacerebbe stare nel solco. Aveva come sceneggiatore Rodolfo Sonego, che è stato un grandissimo. E poi Tutti a casa, l’ho rivisto per una serie che scrivevo dove c’è una scena sull’8 Settembre. È riuscito a raccontarne un momento drammaticissimo facendoti morire dalle risate. Quel che mi resta di nonno è l’concept di raccontare cose forti, gravi, ma mantenendo il sorriso. E credo che sia il modo per farle arrivare a più gente possibile e in maniera più profonda possibile. E forse è proprio la nostra storia. Ho scritto una serie con Valia Santella, dieci puntate, una carrellata dalla Prima guerra mondiale all’1985: Daniele Luchetti sta girando i primi sei episodi e Valia torna alla regia con gli ultimi quattro episodi”.

Lavora con tante donne.
“Sì. Tutti ti dicono che non ci sono registe donne in giro, io lavoro con molte donne e ci sono tantissimi talenti femminili da tirare fuori. Sono circondata da donne, e poi c’è il mio co-sceneggiatore, Furio, che è un pezzo di famiglia per me. Noi scriviamo quasi tutto insieme. Con Furio e Paola ci leggiamo le cose e siamo cattivissimi, magari tu pensi che una cosa faccia ridere e non è vero. Noi le cose ce le diciamo advert alta voce, le sistemiamo, le giriamo. È un lavoro anche artigianale. La chiamiamo la cucina. Poi Paola è meticolosissima, perfezionista”.

Ma sua madre e suo fratello Carlo cosa hanno detto del successo di C’è ancora domani. Gliene aveva parlato?
“No, perché di questo movie, di cui tenevamo al segreto del finale, non ne parlavamo con nessuno. Mamma sta girando, concentrata, ma ha detto “mi avete stufato siete dappertutto vado a vederti” si è infilata in una sala, lo ha visto e mi ha chiamato, period molto commossa “ma cosa avete fatto, period bellissimo”. Mio fratello mi ha mandato un messaggio, lui ovviamente ne vede il senso civico. Per Carlo è importante sempre il senso dello Stato, della Repubblica, l’ha visto come una cosa che parla all’oggi a livello politico, l’ha molto commosso “sono orgoglioso, fiero” mi ha mandato un messaggio di getto”.

Il movie che gira sua madre, Il treno dei bambini da Viola Ardone lo ha scritto lei?
“Si, con Furio e Camille Dudier. Penso che quando si attraversa una crisi c’è voglia di andare a guardare al passato.Verdi diceva “torniamo all’antico, sarà un progresso” nel senso che l’antico a volte ci parla di qualcosa che noi ci siamo dimenticati sull’oggi. Succede per C’è ancora domani, come anche per Il treno dei bambini in qualche modo, ma questo movie parla moltissimo dell’oggi, se avesse parlato solo del ’46 l’avrebbe visto lontano. E anche Il treno dei bambini parla di quell’unione tra nord e sud che è come se questo Paese non avesse mai fatto quel passo, mentre lì c’period tutte le premesse di questa solidarietà di questo amore tra questi due mondi che si sono aiutati si sono sostenuti, e invece è una promessa che non si è realizzata”.

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