Bruce Lee, 50 anni fa l’ultimo urlo dell’artista che faceva paura a Hollywood

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“Nessun metodo come metodo, nessun limite come limite”. Bruce Lee, a 50 anni dalla morte, continua a essere una miniera di frasi motivazionali, ritagliate sulla sua vita di attore, maestro di vita e di kung fu. Ma, specialmente, di uomo di successo e di grande artista marziale.

Period attratto da qualsiasi disciplina (boxe, scherma, kung fu, sollevamento pesi), il suo obiettivo period sempre quello di colmare la distanza fra allenamento fisico e preparazione mentale/spirituale. Un filosofo marziale che si dedicò anche alle religioni e alla filosofia. E attraverso i suoi movie ha portato al grande pubblico i suoi insegnamenti sia pratici che filosofici. Messaggi così potenti da sopravvivergli.

“Sii acqua, amico mio”

Bruce Lee è morto a 32 anni a Hong Kong, il 20 luglio 1973. “In circostanze misteriose”, recitavano i giornali dell’epoca, contribuendo a edificare il mito intorno alla scomparsa dell’attore. Ancora oggi la causa dell’improvviso decesso è ufficialmente sconosciuta, anche se sono state avanzate numerose ipotesi, compresa quella complottista dell’assassinio da parte di gangster della triade cinese. Solo a dicembre dello scorso anno è stata avanzata una spiegazione credibile: Bruce Lee beveva troppa acqua. Un paradosso macabro, visto che uno dei suoi slogan period: “Be water my good friend”. “Sii acqua, amico mio”.

Nel saggio Who killed Bruce Lee? The hyponatraemia speculation, pubblicato sul Scientific Kidney Journal, un group di nefrologi ipotizza che la morte non sarebbe arrivata per edema cerebrale (come si period sempre pensato) ma per una “disfunzione renale”. Questo avrebbe portato “all’incapacità di espellere abbastanza acqua”.

“La vita ci educa: la vita stessa è il nostro maestro, e noi siamo in uno stato di continuo apprendimento” 

L’attore, secondo gli esperti, sarebbe stato “advert alto rischio d’iponatremia”: la scarsa quantità di sodio nel suo corpo ha interferito con il corretto funzionamento dei reni. A peggiorare la situazione si sono aggiunti le precedenti lesioni ai reni, l’uso di farmaci (di cui aveva la prescrizione medica per curare sia il dolore che l’ansia) e di alcool. E proprio dopo aver preso dei farmaci, si addormentò senza più svegliarsi.

A stroncarlo, dunque, una crisi arrivata a due mesi dal primo malore – durante il doppiaggio del movie I 3 dell’Operazione Drago – mentre si trovava a casa della collega Betty Ting Pei che il suo socio Raymond Chow aveva appena lasciato per precederli al ristorante. Prima di chiamare l’ambulanza, l’attrice ha telefonato proprio al produttore e poi al suo medico di base ritardando di fatto l’arrivo dei soccorsi che poi l’hanno portato, ormai deceduto, al Queen Elizabeth Hospital di Hong Kong.

La tecnica dell’esplosione del cuore con cinque colpi delle dita

La successiva autopsia riscontrò l’edema celebrale (“…il cervello di Lee period gonfio come una spugna…” segno inequivocabile di un accumulo repentino di liquidi), ma una possibile disfunzione renale, oltre alla presenza nei polmoni di modesta quantità di fluido e piccole quantità di sangue negli alveoli. Indizi che, secondo un giornalista, potevano essere anche conseguenze di un leggendario colpo di Kung-Fu: il Dim Mak. E qui entra in scena un altro mito, quello del micidiale colpo della morte, di cui si può essere vittime inconsapevoli.

Dalla Cina con furore, la vendetta di Chen

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La mossa letale

Chi ha visto Kill Invoice 2 di Quentin Tarantino, non può non ricordare la “tecnica dell’esplosione del cuore con cinque colpi delle dita”, Quella che Invoice definisce come “la mossa più letale di tutte le arti marziali“. Il maestro che la esegue “ti colpisce con la punta delle dita e comprime cinque punti diversi del tuo corpo. E poi… ti lascia andar by way of. Ma appena hai fatto cinque passi, il tuo cuore esplode all’interno del corpo: e tu cadi a terra, morto”.

La teoria del complotto

Gli esperti di arti marziali hanno sempre ritenuto il Dim Mak una favola, ma il produttore di Lee ammise nell’inchiesta che l’attore aveva ricevuto durissimi colpi non previsti dal copione durante i combattimenti sul set. E ancora molte settimane dopo il funerale, la causa della morte period ignota e ciò provocò tumulti di folla nelle strade di Hong Kong che richiesero l’intervento di agenti in tenuta anti-sommossa. I fan ebbero l’impressione che si stesse nascondendo qualcosa.

La nascita del mito

Ma come ha fatto un ragazzo di 32 anni di Hong Kong a diventare così famoso, al punto da essere celebrato e venerato ancora oggi, con rassegne cinematografiche e poster che tappezzano camerette e palestre? Lee Jun-fan, questo il vero nome dell’attore, nasce il 27 novembre 1940 a San Francisco, in California, alle sei del mattino, nell’ora e nell’anno del Drago. Per questo motivo il padre Lee Hoi Chuen, famoso cantante d’opera di Hong Kong, in tournée negli Stati Uniti, gli diede il nome cinese “Xiao Lengthy”,“piccolo drago” battezzandolo successivamente con il nome americano “Bruce”.

Bruce Lee: il videotributo

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L’inizio con le arti marziali

Bruce torna con i genitori a Hong Kong da neonato e lavora come attore bambino. Il primo contatto di Bruce Lee con le arti marziali si deve a suo padre che lo introduce al tai chi. A 13 anni inizia a praticare lo stile Wing Chun con il leggendario maestro Ip Man, che il cinema cinese ha immortalato in molti movie.

Bruce si allena anche nel pugilato e nel 1958 vince il titolo interscolastico di boxe contro il tre volte campione Gary Elms, con un ko al terzo spherical. Prima di arrivare alla finale contro Elms, Lee aveva battuto tre boxer al primo spherical.

“Pensare all’esito del combattimento è un grosso sbaglio; non pensare a come finirà, se con la vittoria o la sconfitta. Lascia che la natura segua il suo corso e i tuoi strumenti colpiranno al momento giusto”

Nel 1959, durante una rissa, Bruce picchia brutalmente il figlio di un Palo Rosso, membro tra i più più alti in grado della Triade. Il padre, preoccupato per la sicurezza del figlio, resolve di mandarlo a vivere da un vecchio amico negli Stati Uniti. E improvvisamente si ritrova a lavare i piatti in un ristorante cinese.

La scuola di kung fu

Ma negli Usa studia anche teatro e filosofia e apre una scuola di arti marziali aperta a tutti, una scelta (sembra) mal vista dalla mafia cinese, contraria al fatto che un orientale potesse dare così tanto advert un popolo come quello americano. E Bruce insegna agli amici conosciuti a Seattle, iniziando con il praticante di judo Jesse Glover, suo primo allievo e successivamente suo primo assistente istruttore.

Muscoli e testa

Il ragazzo è avido di conoscenza, colleziona libri e movie di boxe occidentale, lotta e altre self-discipline di qualsiasi epoca, dalla lotta greco-romana alla capoeira, dal kempo (arte marziale giapponese di origine cinese) al wrestling.

Il suo bagaglio tecnico si arricchisce anche attraverso il confronto con i grandi nomi del panorama marziale di quegli anni. Campioni di karate americani, come Joe Lewis, Mike Stone e Chuck Norris chiedono di allenarsi con lui. Tra gli allievi c’è anche la leggenda del cinema Steve McQueen, tutti vogliono una lezione dal ventenne dalla lingua sciolta, dal fisico tutto nervi e muscoli scolpiti.

Una nuova arte marziale

Intanto la sua ricerca sull’efficacia del combattimento va avanti, fino alla nascita della sua disciplina marziale, il jeet kune do o by way of del pugno, i cui primi concetti nascono nel 1967/68.

“Il jeet kune do non gira intorno alle cose, non prende strade secondarie, va diritto allo scopo. La distanza più breve tra due punti è la semplicità”

Parallelamente Bruce continua a guardare a Hollywood. Ma deve fare ii conti con il razzismo degli studios: per un cinese è possibile solo un ruolo di supporto e così veste i panni di Kato, assistente del protagonista, nella serie di spionaggio The inexperienced hornet (1966-67). Ma lui vuole di più.

“Non potrete mai chiamare il vento, ma potete lasciare la finestra aperta”

All’età di 29 anni, Lee torna a Hong Kong, dove diventa scrittore, regista, attore protagonista e coreografo di scene di combattimento. Il furore della Cina colpisce ancora (1971), segna il suo debutto come protagonista. È un grande successo commerciale. Ma la strada non è stata semplice: Lee si rifiuta di combattere nello stile irrealistico associato ai movie di kung fu tradizionali, con molti colpi di braccia e uomini con spade che volano in aria. I suoi colpi e i suoi calci sono duri, essenziali, netti.

“Se pensi che una cosa sia impossibile, lo diventerà. Il pessimismo spunta le armi di cui hai bisogno per vincere”

Lo Wei, regista del movie period furioso: Bruce Lee si period rifiutato di sferrare più di tre colpi durante una scena. “Nessuno sopravvive a più di tre dei miei calci”, aveva risposto Lee. Il produttore Raymond Chow fu chiamato risolvere il conflitto, rivide il girato e disse: “Fallo alla maniera di Bruce”. È nata una stella.

Meno di un anno dopo arriva Dalla Cina con furore, un movie con un contenuto molto più storico e psicologico ambientato durante l’occupazione giapponese di Shanghai negli anni 20. Memorabile la scena che vede Bruce Lee entrare da solo nel dojo di karate e sgomina tutti i nemici. Le cronache dell’epoca narrano l’esplosione di entusiasmo del pubblico nelle delle sale cinematografiche di Hong Kong.

Il combattimento al Colosseo

Il movie successivo è scritto e diretto da lui stesso. L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente (1972) termina nel Colosseo a Roma, con un combattimento contro Chuck Norris, amico e sparring companion di Lee nella vita reale. Bruce lo scelse, perché period uno dei pochi abbastanza veloci da affrontarlo.

“Non c’è libertà se siete imprigionati da muri di disciplina”

Le riprese nell’anfiteatro Flavio erano severamente vietate e le poche scene girate furono fatte in fretta e furia e all’insaputa delle autorità romane. Una leggenda metropolitana vuole che i due abbiano combattuto davvero durante le riprese, senza simulare i contatti: Norris una volta commentò dicendo che non avrebbe mai potuto vincere contro Bruce Lee in un combattimento leale.

La sinofobia di Hollywood

L’odio degli statunitensi per i cinesi non è certo una novità dei nostri giorni, con il presidente Donald Trump che chiamava il Covid “kung flu“. E nei primi anni 70, Bruce torna a misurarsi ancora con il razzismo a stele e strisce.

Secondo quanto raccontato da Linda Lee Cadwell, vedova di Bruce Lee, l’attore venne fatto fuori dalla serie Kung Fu, trasmessa nell’arco di 3 stagioni, dal 1972 al 1975, nonostante avesse contribuito all’concept originale e dovesse anche essere il protagonista. La scelta cadde su David Carradine (che 30 anni dopo sarà scelto da Tarantino per Kill Invoice). Hollywood continuava a non volere attori asiatici per ruoli da protagonista.

“La felicità è buona per il corpo, ma la sofferenza rafforza lo spirito”

Infine I tre dell’Operazione Drago (1973), una coproduzione internazionale con lo studio americano Warner: enterprise is enterprise. E il movie, il cui titolo originale period Enter the Dragon divenne un should mondiale nell’property del 1973 e trasformò Bruce Lee in una famous person. Una consacrazione, fra urla acute, un corpo incredibilmente muscoloso, velocità di esecuzione dei colpi e il guizzo dei suoi micidiali nunchaku (che poi in cinese si chiamano shuang jie gun).

“Se pensi che una cosa sia impossibile, lo diventerà. Il pessimismo spunta le armi di cui hai bisogno per vincere”

La sera del 20 luglio 1973. La morte improvvisa di Bruce Lee fu una doccia fredda, che mise in moto i soliti complottisti. Ma la vera eredità di Bruce Lee è andata ben oltre i suoi quattro movie e gli undici minuti di girato di Recreation of dying, uscito nel 1975, con un improbabile attore spacciato da grande artista marziale, ma che hanno consegnato alla leggenda la tuta gialla indossata dal protagonista.

Bruce ha aperto le porte dell’occidente ai movie sul kung fu e ai concetti filosofici e religiosi dell’Asia. Sulla sua scia, anche le arti marziali conquistarono il mondo. E “i movie di mazzate” divennero molto popolari negli anni 70, con tanto di parodie, come il nostrano Ku-Fu? Dalla Sicilia con furore, del 1973, diretto da Nando Cicero interpretato dai nostri Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.

Forse, senza Bruce Lee, il Wu Tang Clan, non avrebbe mai dato alle stampe il leggendario album hip-hop Enter the thirty sixth chamber (1993), il cui nome deriva dal movie di arti marziali The thirty sixth chamber of Shaolin del 1978. E movie come La tigre e il dragone o Matrix non sarebbero mai esistiti. E in Kill Invoice, Uma Thurman non avrebbe mai indossato la tuta gialla. Quanto ci manchi, Bruce!

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