È stata appena messa in vendita la information del suo terzo concerto consecutivo allo stadio Maradona, le altre due sono già andate “tutto esaurito”. Un rapper napoletano che riempie per tre volte il tempio del calcio della sua città non si period ancora mai visto. L’impresa è riuscita a Geolier che tra qualche giorno salirà sul palco dell’Ariston per partecipare al Competition di Sanremo con una canzone completamente in dialetto, I’ p’ me, tu p’ te.
“Tre stadi? E chi ci pensava, io volevo fare solo un Palapartenope”, cube Geolier, cresciuto tra i palazzi di Secondigliano. La sua ambizione è che sia una festa per tutta la città, “Per Sanremo mi piacerebbe mettere qualche maxischermo in città. spero che me lo facciano fare, che possano vedermi tutti, e anche per i concerti negli stadi mi piacerebbe, anche se mi hanno spiegato che non si può fare, per rispetto di chi ha pagato i biglietti”, cube. “Vorrei che i tre concerti fossero una festa di Napoli, di tutta la città. I tre stadi sono per me un’emozione troppo grande, è incommensurabile, mi sembra tutto assurdo”.
Il regolamento del Competition cube che “il testo delle canzoni in gara dovrà essere in lingua italiana. Si considera in lingua italiana anche il testo che contenga brevi frasi in lingua dialettale purché tali da non snaturarne il complessivo carattere italiano, sulla base delle valutazioni artistiche/editoriali del direttore artistico”. Geolier conferma che ha dovuto aspettare il by way of libera di Amadeus: “Il pezzo è nato per Sanremo quando Ama mi ha concesso di poter portare il brano in napoletano, io non riuscirei mai a scrivere e tanto meno a cantare un pezzo in italiano, almeno finora è stato così”.
Il pezzo racconta la advantageous di un amore: “I’ p’ me, tu p’ te significa ‘io per la mia strada e tu per la tua’” spiega Geolier, “significa anche il rispetto che si deve comunque avere per il companion quando non c’è più amore, quando è il momento di separarsi, è in quel momento che serve il rispetto reciproco”.
Geolier concepisce il proprio lavoro di rapper come un lavoro di squadra: “Non solo io solo, siamo cinquanta di noi”, cube. “Dietro di me ci sono tante famiglie di cui mi sento responsabile, se ho successo anche loro godono come me, ma se fallisco il fallimento ricade su di loro e non vorrei mai. Tutti lavorano per la ditta Geolier, è un collettivo. Io non ho iniziato per avere successo, ho iniziato per un altro scopo, per vivere di musica e uscire dalla strada, dalla sua etichetta”, racconta il rapper.
“Andare al Competition a cantare in napoletano è una grande responsabilità, è una cosa storica, anche per il periodo che stiamo attraversando: Napoli ha seminato e ora stiamo raccogliendo i frutti, la città è sempre stata piena di arte ma nessuno se ne period ancora accorto. Da fuori sembra che Napoli sia solo Gomorra, però penso che abbiamo cose più belle da raccontare. Mare fuori mi piace ma non c’è solo quello. Per me essere arrivato al Competition è già una vittoria, adesso può succedere di tutto, perché quello che volevo fare l’ho già fatto”.
“A Secondigliano a 8 anni facevo il cottimo, a casa lavoravamo la minuteria dei lampadari. Vita di strada ne ho vista tutti i giorni, la musica è sempre stata la mia bolla, mi ci tuffavo per creare un futuro per me e per le persone che come me non ne avevano, il mio obiettivo period anche di toglierne alcuni dalla strada e di poter continuare a vivere così. Insomma, la mia concept della musica non è mai stata solo arrivare a fare gli stadi”.
E la notorietà, come la vive? “È bella, mi chiedono se dopo una giornata di promozione sono stanco, ma stanco è il muratore che si rompe la schiena non io che sto lì a fare le foto. Chi mi ferma per la strada non mi infastidisce: quando esco, dopo aver lavorato in studio, sono consapevole che devo fare le foto, le persone per strada mi trattano come uno di famiglia, la gente sa che mi ha creato e anch’io lo so, c’è la piena consapevolezza di questo”.
Il riconoscimento per chi ha creduto in lui e lo sostiene è pieno: “Voglio dedicare l’entrata a Sanremo a tutte le persone che hanno creduto a questo progetto dall’inizio”. Un pensiero anche alla scena rap: “Il mio sogno è vedere Guè e Marracash a Sanremo, tutti i rapper all’Ariston. Io da rapper mi sento un giornalista, per fare musica scendo e racconto quello che c’è in strada. Sono nato a Napoli, a Secondigliano, ho visto tanti movie, mio padre mi ha sempre insegnato a vederli anche nel finale, perché la mafia nel movie fa i soldi ma nel finale c’è sempre un morto o qualcuno che finisce in carcere”.