Ste, una voce da Lagos a Napoli: “Sono nera, homosexual e canto contro ogni violenza. E sogno il Pageant di Sanremo”

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“Capita anche adesso: quando passeggio e indosso le cuffie inizio a cantare e non me ne accorgo”. La testa nella musica di Pino Daniele ed Etta James, l’asfalto di Castel Volturno sotto ai piedi e la sua voce che viene notata dai titolari di un pub. La invitano advert esibirsi un paio di volte poi la vogliono in pianta stabile. Così Stephanie Ojemba, in arte Ste, ha iniziato a percorrere la strada che la porta oggi a pubblicare Romantica, il suo primo Ep. “Ero timidissima, peggio di adesso”. E adesso mette nelle sua musica – già condivisa milioni di volte su Tik Tok – la sua vita che è fatta di varie traversate.

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“Sono nata a Lagos in Nigeria ventotto anni fa e sono arrivata in Campania da piccola. Io e mia madre Ada siamo state “adottate” da una famiglia del posto”. Li chiama con dolcezza “papà Vincenzo” e “mamma Angelina”. “Con lui ho scoperto il conforto della lingua napoletana guardando e riguardando i movie di Totò e Sophia Loren. Quelle parole sono per me la massima forma di eleganza possibile. Con lei che non c’è più guardavo Sanremo: quanto vorrei poter salire su quel palco. Sarebbe bello se…” e le parole le si fermano in gola perché l’emozione e l’amore prendono il sopravvento. “Quello cerco di cantare nel mio disco: l’amore in tutte le sue forme. Sono homosexual e nera. Mi vesto da maschiaccio e non posso fare altrimenti, sono fatta così. I giudizi degli altri? Certo sono pesati ma cerco di vivere tutto in modo positivo. All’intolleranza e agli sguardi di indifferenza non mi applico proprio”.

Ciò su cui si applica, invece, è l’autocritica – infondata – verso le sue canzoni. “In ogni incisione, cerco di trovare subito il difettuccio da migliorare”. Ce ne sono zero di difettucci nella sua musica che tiene insieme la lezione dei classici napoletani e le sonorità contemporanee, l’utilizzo lirico della voce e un’autenticità nella scrittura che la porta con naturalezza a raccontarsi in prima persona. “L’unica canzone che non riguarda una mia esperienza personale è Baratro. L’ho scritta dopo che una mia amica mi ha raccontato una violenza che aveva subito. Mi rivolgo a chi le ha fatto del male. E parlo anche a chi commette forme minime di violenza e non se ne accorge”. Le più pericolose, le più subdole.

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Tiene tanto alle amicizie – “e per favore, voglio ringraziare in pubblico il mio supervisor Massimo e la mia amica Vivara: veramente, per piacere, lo scriva” – e oltre Sanremo il sogno è quello – “un giorno, forse, c’è tempo” – di poter avere solo per lei e la sua musica il Diego Armando Maradona. “Un po’ già l’ho provata quell’emozione. Mi hanno invitata a cantare prima della partita Napoli – Roma. Allo stadio non ci ero mai stata e in più sono tifosissima del Napoli: è stat’ ‘o panico! E poi mi hanno regalato la maglia numero 10”. Quella dei fuoriclasse che arrivano da altri continenti per regalarci un po’ di magia, per mostrarci come la realtà può essere cambiata anche con un solo gesto: una punizione che sfida le leggi della fisica o una bella canzone che sfida chi non fa altro che dividere, separare, alzare muri e steccati.

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