Il lunedì del cinema: Ricomincio da me, un cinema sorprendentemente “normale”

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Lunedì 29 aprile parte l’iniziativa Il lunedì del cinema a cura di Repubblica e MYmovies per il cinema di qualità in streaming. Una sala cinematografica virtuale pronta advert accogliere gli iscritti di MYmovies ONE con una selezione ricercata di titoli da vedere (o rivedere) rigorosamente insieme dalle 20:00 a mezzanotte.

Grandi storie di vita e racconti d’attualità, per chi ama l’intrattenimento, il grande spettacolo e il confronto dopo la visione.

Per il primo appuntamento di lunedì 29 aprile, Repubblica con Wished Cinema presentano Ricomincio da me (prenota un posto free of charge) interpretato da una magnifica Camille Cottin – l’agente Andréa Martel di Name My Agent – e diretto con fluidità, con delicatezza, con sommessa disinvoltura da un ragazzo che a ventiquattro anni appena è al secondo movie da regista. Si chiama Nathan Ambrosioni, e il movie lo ha anche scritto e montato. Ambrosioni sta al cinema come Lamine Yamal, il talento adolescente del Barcellona, sta al calcio.

C’è un’aria splendidamente “normale” in questo sommesso ritratto di madre quarantenne, chiusa in una crisalide di disillusione, di sfiducia, di insicurezza. Alle prese con cinque figli adolescenti, ai quali sembra aver trasmesso il suo senso di sconfitta, le sue ansie. Da qui, poteva prendere le mosse un movie pesante, verboso, sottolineato, con le scene più dolorose calcate. E invece no. È tutto così quotidiano, così semplice. E non soltanto nella storia, ma nel modo di inquadrare, nei movimenti di macchina, nella recitazione, nella musica parsimoniosamente spruzzata. Eppure, alla high quality, ne viene fuori un gran movie sul coraggio. Sul coraggio e sulla paura di fallire, l’altra faccia della stessa medaglia.

Ricomincio da me – in originale Toni, en famille – non potrebbe prescindere dalla sua protagonista, Camille Cottin. Che interpreta Toni, madre distratta, trafelata, denims e squarci di giovinezza portati senza neanche accorgersene, come un maglione sformato. E la fretta di fare le cose perché c’è sempre troppo da fare, con cinque figli, e gli occhi azzurri sempre in allarme. E quel quarto d’ora di celebrità avuto nel passato, da cantante, con una hit che passano ancora, qualche volta, alla radio. Ma un presente di locali semivuoti, con la gente distratta, e la voce che non se ne vuole uscire.

Si muove lieve, il regista, lavora sui particolari. La scena iniziale, in cui la donna va a prendere i figli a scuola, e sta per dimenticarsene una. Lavora su ognuno dei cinque figli, cercando – il regista – di non lasciarne indietro nessuno. E di ognuno scopre le paure, le fragilità, quel senso di sconfitta che sembrano avere ereditato dalla madre. Quello che il regista scolpisce, una scena dopo l’altra, è come la scultura di una donna che cerca di tenersi tutti i figli intorno, mentre viene flagellata dal vento.

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In foto Camille Cottin in una scena del movie. 

In C’è ancora domani di Paola Cortellesi c’period una madre alle prese con un marito prevaricatore, aggressivo, violento e con un suocero autoritario, beffardo e sprezzante. Qui lo situation è del tutto diverso, non sono le determine maschili il problema, ma lo stagno – anche economico – nel quale è finita la vita della donna. Gli uomini non sono il male: quando ne incontriamo, nel movie, sono quasi intimiditi da questa donna amareggiata, sola ma forte. E i due figli adolescenti sono entrambi fragili, insicuri. Qui, insomma, non è il “patriarcato” il problema. Il problema è come trovare la forza per ritornare a vivere, per provare a immaginare un futuro, invece di vivacchiare su un passato – quel disco di successo vent’anni prima, quella hit ormai buona per i revival alla radio – che sbiadisce ogni giorno di più.

E il futuro da cercare, in un movie americano meno sincero sarebbe stato, magari, il ritorno alla musica, l’inseguimento del successo, un nuovo disco. Qui l’obiettivo, molto più minuto, è per la protagonista ritrovare se stessa, magari iscrivendosi all’università. O ritrovare gli equilibri in famiglia, far recuperare la fiducia ai suoi figli.

Ma la cosa più bella, in questo ritratto di donna, è che questa madre non cerca in nessun modo di porsi al di sopra dei suoi figli: accetta il confronto, ammette i propri errori. Siamo avanti, e non poco, nel cinema francese, e probabilmente anche nella società.

Infine, ci sono gli occhi di Camille Cottin. Gli occhi di una donna che cerca di ascoltare e di capire, anche se non sempre ci riesce. Che cerca di assorbire le sconfitte, anche se non sempre ci riesce. Di non dare a vedere la sua sofferenza, anche se non sempre ci riesce.

Così, ci affezioniamo a questa famiglia, che ricorda un po’ quella de La famiglia Bélier di Èric Lartigau, o quella hippie/intellettual/rivoluzionaria di Captain Incredible (guarda la video recensione) di Matt Ross. Anche qui un personaggio adulto, da solo, cerca di tenere insieme i suoi numerosi figli. Lì Viggo Mortensen si isolava dalla civiltà, insegnando ai figli a cacciare e a orientarsi con le stelle. Qui, più modestamente, Camille Cottin insegna ai figli a credere in se stessi.

In qualche momento, Ricomincio da me ricorda il cinema semidocumentario di Boyhood di Richard Linklater, proprio per la sensazione che dà di affondare nel tessuto molle della vita, nei suoi momenti “qualunque”. Normalmente, quando sei giovane, vuoi spaccare il mondo. Invece Ambrosioni sta sempre attento a non forzare i toni, con il rischio persino di rimanere troppo dentro una scala di grigi emotivi. Fa un cinema sorprendentemente “normale”. Ma in fondo, come cantava Lucio Dalla, l’impresa eccezionale – dammi retta – è essere normale.

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