Bugo: “Ridevano di me, ho sofferto: a 20 anni come Sangiovanni mi sarei depresso, o peggio. Alla mia età ne sono uscito: Tornerei a Sanremo, ma non farò come i Jalisse”

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«Ho sofferto e passato anni difficili, tutti ridevano di me: io ho 50 anni e mi son costruito una corazza, ma se capita a un ventenne, cosa fa? S’ammala di depressione, o peggio». Per Bugo è una ferita mai del tutto chiusa quella del Sanremo 2020, la canzone storpiata da Morgan, la discesa dal palco, mesi in cui l’episodio è diventata materia per battute social. Ora anche per i tribunali, con un processo per diffamazione iniziato a febbraio. Nel frattempo però Bugo s’è rialzato, è tornato a Sanremo e ora è uscito un nuovo album, “Per fortuna che ci sono io”, che presenterà stasera alle 22.30 in uno showcase al Cortile Cafè. Che nei testi rievoca qua e là quel che è successo e nella musica il rock classico a lui caro. «Ma ogni disco per me è un ripartire da zero, senza rimpianti e senza menarmela per vent’anni di carriera, come chi oggi fa due dischi e si sente maestro della musica italiana». Quello semmai è stato Vasco, che «non ha solo cambiato il rock italiano con le canzoni, ammiro la sua attitudine, che è più importante del talento e porta a fare scelte controcorrente radicali come istinto naturale e di sopravvivenza».

Arrivando dal mondo alternativo, andare Sanremo e firmare per una main han fatto storcere il naso al suo pubblico?

«Lo faccio apposta, per stuzzicare la gente e tenermi vivo. Nel 2002 ho firmato con Common e gli alternativi si sono arrabbiati. Ma che volete, faccio quel che voglio e se non vi va bene non ascoltatemi. Ci si attacca a queste stupidaggini e non alla musica, anche i Sanremo non sono stati errori: ho portato dei bei pezzi e se mi si giudica per le apparenze non è un problema mio, a me interessa fare le scelte per me e non per altri. Dopo quello 2020 e uno senza pubblico per il Covid a Sanremo tornerei volentieri, per farne uno normale. Ma se mi chiamano bene, se no pazienza, non starò qui a rompere per 25 anni come i Jalisse».

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L’ultimo Pageant ha fatto emergere il tema della salute mentale degli artisti. Period ora che qualcuno parlasse dell’elefante nella stanza?

«Sono contento che finalmente se ne parli ed empatizzo con Sangiovanni, ma non è che trent’anni fa fosse meglio, quanti ne conosco di miei colleghi coetanei che hanno mollato da ventenni per questo. Cobain s’è ammazzato, Tenco pure, il sistema musica è fagocitante da sempre, non da oggi. Un consiglio? Non menarsela troppo sul talento, tanto se lo hai nessuno te lo porta by way of, e prendersi il proprio spazio anche se ti dicono che non sei bravo o intonato, tanto lo dicevano pure a Battisti. Serve lavorare sul carattere, un ragazzo deve trovare in sé la forza per presentarsi ogni giorno come un guerriero, costruirsi una corazza che dia la forza di parare i colpi di un mondo che di come stai non s’interessa. Ma non incolpo l’industria musicale di oggi, è da sempre così e se non la reggi è meglio fare altro».

È quella corazza che l’ha aiutata nel publish Sanremo 2020?

«Ho passato anni brutti, non è stato uno scherzo; ma ho 50 anni, con la famiglia e il mio carattere ne sono uscito e sono qua con un disco. Ma se fossi stato un ventenne? Non lo so, sarei andato in depressione, o magari mi sarei ammazzato.

Ti sputtanano la canzone, che per un cantautore è la cosa più importante che ha, come rovinare un figlio; ti squalificano; in giro senti che tutti ti ridono dietro senza pensare a cosa stai vivendo tu, perché tanto da fuori conta l’avanspettacolo: come fai a reggere? Se fosse capitato a un esordiente avrebbero fatto meno i brillanti coi meme, avrebbero finito per ridere di una tragedia. Ma non ce l’ho con il sistema o la television, il mondo alternativo mica è meglio».

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