Cor Veleno: “‘Fuoco sacro’ è il nostro tributo al rap. La scena italiana è bella perché varia”

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Cinquant’anni di rap nel mondo e trent’anni di cultura hip hop in Italia. Ci voleva un album per celebrarli e ci hanno pensato i romani Cor Veleno. Fuoco sacro è il loro ottavo disco di studio: tredici tracce, molte delle quali arricchite da that includes importanti, da Inoki ai Colle der Fomento e a Fabri Fibra, accanto ai nomi nuovi della scena come Willie Peyote, Nayt, Franco 126 e Mostro e agli emergenti come Ele A, Ugo Crepa e Klaus Noir. Ospite d’onore Marlon Peroza, gaitero e cantante colombiano nominato ai Latin Grammy 2020, grande amico della crew.

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(foto di Arsenyco) 

L’album, prodotto da Squarta e Gabbo, è dedicato a Primo Brown, ovvero David Berardi, membro dei Cor Veleno scomparso nel 2016, “ma se ci fosse stato il tempo prima della stampa l’avremmo dedicato volentieri anche a Ernesto Assante, nostro amico, sempre attento alla nuova musica che usciva”, spiega Grandi Numeri, nome d’arte del rapper Giorgio Cinini, autore dei testi dei Cor Veleno.

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Com’è stato accolto l’album?

“All’evento di presentazione con Lovegang, sono arrivati tanti ragazzi, questo mi ha sorpreso molto positivamente. E soprattutto ciò che mi soddisfa è il tono delle recensioni e i commenti: tutti dicono che questo è uno dei migliori dischi che abbiamo fatto”.

Squarta ha fatto un ottimo lavoro nella scelta dei suoni.

“Ha lavorato con tutti in Italia: ha scoperto noi, i Mezzosangue, Cranio randagio, qui si è trovato bene con Gabbo, soprattutto, un bassista che viene dal jazz e dal blues, e nell’album si sente. Volevamo suoni che soddisfacessero i nostri diversi gusti: per me, per esempio, un brano come Consolation zone vale come un pezzo di cuore, ho vissuto in Colombia per un lungo periodo e suonato con molti musicisti locali, e finalmente sono riuscito a coinvolgere Marlon Peroza, tra le altre cose oltre che cantante anche suonatore della gaita, tipica del Caribe colombiano. Il pezzo punta alla sperimentazione, quindi tutto tranne che radiofonico, ma questa è la mia consolation zone, agli antipodi della melassa radiofonica che si ascolta in giro”.

L’album è uscito da qualche giorno, soddisfatti del risultato? Ed è sempre decisiva l’attenzione delle radio o lo è meno di prima?

Se un giorno le radio commerciali decidessero di programmare anche altro forse il sole tramonterebbe advert est. Alcuni già passano i nostri pezzi ma sarebbe stupendo se accadesse nei community. Prodotti più underground faticano a trovare spazio su palinsesti maggiori, anche se con piattaforme come Spotify, Amazon e Apple music è più facile per tutti avere enchantment, anche internazionale, ed entrare in una playlist ti permette di avere una eco più grande tra chi ascolta il tuo genere di musica”.

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La copertina dell’album ‘Fuoco sacro’ 

Nel disco siete anche molto critici con parte della scena di maggior successo oggi.

“Quest’anno il rap festeggia i 50 anni, volevamo partecipare a questo tributo con un album, un ringraziamento per una musica che ci ha dato tanto: se oggi ci consideriamo una famiglia, lo dobbiamo certamente all’hip hop. Nel disco si fa riferimento a chi prova a fare il rap con l’approccio opposto al Fuoco sacro che richiamiamo nel titolo. Non è l’attacco a un rapper preciso, altrimenti ne avrei fatto il nome, piuttosto una critica a molte famiglie che inseguono il miraggio e inculcano nei propri figli questa thought del successo, come facevano qualche anno fa con chi tentava la strada di calciatore”.

Nel pezzo La novità si parla di “puttane, collane, vestiti, miliardi di views e nessuno ai tuoi present, qualcuno si è comprato gli streaming”.

“Lo cube Mostro: se si comprano le visualizzazioni, si dà una confezione estetica al musicista, collane e tatuaggi, si inseguono solo gli stilemi dell’hip hop. Con questo album che si intitola Fuoco sacro si segna una differenza sottolineando l’importanza della forza interiore che ti spinge, al di là delle visualizzazioni e del successo commerciale. Ce lo insegna Rick Rubin: è fondamentale che prima di tutto si faccia musica per sé e se poi ci sarà un riscontro allora sarà la dimostrazione che hai fatto bene”.

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(foto di Arsenyco) 

Curiosità: come si comprano gli streaming?

“Non lo so perché io non li compro ma credo che siano dei servizi on-line che pagando profumatamente contribuiscono a darti maggiore visibilità. A volte ci si chiede chi sia un artista, e poi si scopre che ha già milioni di follower. Quando succede questo viene meno il presupposto per fare musica. Io vengo dalla scuola di Ice One, ci ha insegnato tanto. Il rap ha forza politica solo quando è autentico, solo in quel caso ti mette davvero di fronte allo specchio”.

Squarta ha partecipato a Nuova scena, il programma sul rap di Netflix, cosa pensa dei expertise?

“Che impatta relativamente sui rapper e sul rap, ma più sul pubblico che proviene da un diverso background. I rapper grazie a expertise come questo scoprono i meccanismi che stanno intorno e dietro alla musica, si rendono conto che la storia dell’artista che ce l’ha fatta da solo è una favola”.

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(foto di Beatrice Chima) 

Siete anche un esempio di longevità in un mondo che ora fa arrivare velocemente al successo, la scena è molto cambiata.

“La scena italiana è bella perché varia, si va dalle rime crude e blues di Ugo Crepa, a cose più forti come Salmo o Gemitaiz. Io sono contento che nel doc Sempre grezzo per Primo ci sia un enorme tributo nei nostri confronti da parte della scena attuale. E infatti, i giovanissimi non ci hanno pensato neanche un attimo se accettare o meno il nostro invito, vedi la partecipazione di emergenti come Nayt, Ugo Crepa, Ele A, Klaus Noir. E vedi anche Franco 126, che ha fatto il singolo con noi, un artista che apprezzo e che ha portato il cantautorato nel rap. Insomma, rivendichiamo l’ecletticità e la varietà, che è poi la nostra ragione di essere”.

Nell’album torna il nome di Primo. Perché è stato importante per l’hip hop?

“Credo che sia stato prolifico e ispirato ma è scontato che lo dica io, credo che il movie dia esattamente l’thought su di lui: un poeta che ha contribuito a realizzare la scena, forse non un pioniere del genere anche se nel suo modo di scrivere lo è certamente stato. Spero che a Roma si trovi presto il modo per dedicargli qualcosa che resti anche per il futuro”.

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