Antonio Albanese: “Sono stato un anarchico, ma rispettavo i professori. Il nostro Paese è a un quarto d’ora dall’esaurimento nervoso”

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PESCASSEROLI (L’AQUILA) Antonio Albanese è seduto sul muretto di pietra davanti alla chiesa di San Pietro e Paolo, Pescasseroli: “Qui abbiamo girato una scena importante. Ho tanti ricordi, due mesi trascorsi con un gruppo meraviglioso, è bello tornare in questa comunità che mi ha accolto con amore”. Nel movie di Riccardo Milani in sala giovedì 28 marzo con Medusa, Un mondo a parte, interpreta un maestro che fugge da Roma per un paese nel Parco nazionale d’Abruzzo e si “acconcia” nella comunità, una piccola scuola da salvare, sette bambini, e il paese che vi ruota attorno. Accanto a lui Virginia Raffaele.

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Albanese nella classe del movie ‘Un mondo a parte’, al cinema dal 28 marzo 

E’ stato un set aspro?

“Il più faticoso della mia vita. Sveglia alle quattro, affrontare meno dodici gradi in mocassini… ma con Virginia abbiamo riso tanto. Ci siamo ritrovati all’improvviso in questa piccola comunità, con un linguaggio e comportamento diversi e questo fa scattare chiaramente situazioni molto divertenti. Virginia è una forza, guidava come una matta sulla neve, e quando è stata male le ho fatto un brodo, mi sono preso cura di lei. Il momento indimenticabile: io e un cervo gigante dentro una stradina senza uscita. La scena di spavento è venuta benissimo”.

Com’è stato entrare in questo mondo a parte, fuori dai riflettori delle cronache?

“Facile, è un tema che mi sta molto a cuore, quello della scuola. Sono grande sostenitore dei maestri delle scuole primarie: hanno bisogno di aiuto, sono sempre più in difficoltà ed è assurdo, perché il loro trasmettere ai nostri figli è fondamentale. Devono essere adorati, il loro è un lavoro faticosissimo, continuo… Spero che il movie accenda I riflettori su questo”.

Che rapporto ha avuto con la scuola? Che alunno è stato?

“Tendenzialmente anarchico, ho sempre fatto un po’ di testa mia. Come oggi sul lavoro, sono solo, faccio le mie cose, cambio le regole. Sono sempre stato selvatico, però ho sempre rispettato i miei compagni e i professori”.

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Una scena di ‘Un mondo a parte’ 

Un ricordo speciale?

“Uno, positivo e negativo, una scappatella da scuola, ero molto più vivace di oggi, e le conseguenze. Ma ricordo tutti gli insegnanti con affetto e ho trasmesso questo amore ai miei figli, perché la scuola è salvifica, vitale”.

Avrebbe potuto fare l’insegnante?

“Forse sì. Ci ho pensato. Mi piace raccogliermi con un gruppo di persone. Lo vorrei fare per egoismo, perché ricevi anche tanto dai ragazzi. Sul set erano otto, non attori, scatenati. In tanti cercavano di controllarli, io non potevo perché non sono così. Spero di aver trasmesso passione e serietà di questo lavoro, il teatro, il cinema sono comunque una scuola”.

I suoi movie da attore, ma anche quelli da regista, raccontano con sorriso e tenerezza la questione culturale e politica della resistenza dei piccoli centri, quelli che, al di fuori delle grandi metropoli, compongono il Paese.

“Questo è il quinto movie che faccio con Riccardo. E’ capace di focalizzare l’attenzione in maniera apparentemente leggera su temi forti, in Mamma o papà? period il tema del rapporto con I figli, la separazione; con Come un gatto in tangenziale il rapporto tra periferia e centro, con Grazie ragazzi il tema del carcere. Qui la scuola, l’aggregazione, la comunità. Con uno stile mai modaiolo, esageratamente estetico. Entra in un certo tipo di umanità per raccontarla nel migliore dei modi, con più attenzione”.

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Antonio Albanese e Paola Cortellesi in ‘Come un gatto in tangenziale’ 

Uno guardo attento al sociale la accompagna fin dagli esordi da attore comico.

“Il primo spettacolo della mia vita l’ho intitolato Uomo, il primo movie Uomo d’acqua dolce. Amo moltissimo i corpi, l’essere umano. Ho sempre cercato con i miei personaggi di manovrare, elaborare dei corpi e cercare di denunciare alcune cose. Non amo contestare, ma tendenzialmente forse tra le trigger c’è anche stato quell’uno-vale-uno dei social. Io non ho social perché ho capito che lì non si impara. E devo avere il tempo per imparare, per crescere, per non essere mai in ritardo. Ho cominciato con un mio primo personaggio, Epifanio, che raccontava un certo tipo di ingenuità, di solitudine, e sono arrivato al Ministero della paura: in trent’anni molto è cambiato, sì. Ora sto elaborando una nuova creatura, un soldato che non ha mai dubbi”.

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Albanese nelle vesti di Epifanio, uno dei suoi personaggi 

Si ispira a qualcuno?

“A nessuno in particolare, ma capto l’atmosfera: siamo circondati da tanti che trovano soluzioni che trovo inverosimili, mi pare una forma di abbattimento non solo psicologico, ma mentale. E lì ritorno sull’ironia, che è un sinonimo di intelligenza. Diventa sempre più difficile fare ironia, tutto è più volgare. Difficile definire questo periodo, confuso, siamo tutti a un quarto d’ora da un esaurimento nervoso. Ma allo stesso tempo ci trasmettono otto milioni di certezze”.

In particolare?

“Sono le guerre che ci stanno indebolendo. In un certo senso il mio lavoro mi dà la possibilità di reagire. Forse mi ha sempre aiutato perché trattengo un po’ troppo e mi dà la possibilità di esternare. Ed è arrivato il momento di reagire in un modo o nell’altro. Queste guerre che ci circondano mi rattristano quotidianamente, enormi ingiustizie, cerco di affrontarle con il mio lavoro”.

Milani, Raffaele, Albanese: “Scuola, risate, comunità: la nostra commedia che celebra l’Italia che resiste e non si abitua al peggio”

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La rabbia?

“Si, sono molto legato advert alcuni personaggi. Advert esempio Perego, il personaggio di Giù al nord, del ’97, in un momento in cui io, Michele Serra e Piero Guerrera volevamo andare contro quella sorta di strana esasperazione del lavoro, una partita Iva ogni due abitanti. E poi il lavoro, un tema che mi interessava. Parlo di soldati perché siamo circondati da questi queste montagne di ingiustizie di reazioni orribili. Vediamo cosa nasce, l’energia c’è ancora, quindi evviva”.

La geografia dei suoi personaggi attraversa tutta l’Italia.

“Ho la fortuna con il mio lavoro di girare davvero il nostro Paese, incontrarlo, palare con la gente, dal Veneto, dal Friuli alla Sicilia. Ed è interessante perché è l’occasione di monitorare. Il nostro è un Paese che soffre di labirintite, e non è solo per le paure, ma grande indecisione. Ora non ci sono soluzioni. Quello che si può dire e pensare – si parla sempre del futuro che non esiste più, che non c’è più per i giovani – ma ci si dimentica di lavorare sul presente. Solo così possiamo sostenere il futuro. Il consiglio che posso dare alle nuove generazioni è di lavorare sul presente, per ancorare le basi per poter poi affrontare un futuro. Se si lavora su un buon presente qualche strada si può trovare”.

Nel movie si parla di Vito Teti e del concetto di “restanza”: c’è un giovane che sceglie di lavorare la terra, di restare dove è cresciuto.

“Quel ragazzo che cube questo a 14 anni, me l’ha detto sua madre, non ha voluto il motorino, ha voluto una pecora. Dipende dalle zone, in alcune hai voglia di restare, e per restanza torniamo allora mio presente a cui lavorare, perché tutti abbiamo un potenziale straordinario. Lavoriamo su quel desiderio che la nostra anima, il nostro DNA, il nostro corpo, ci offrono”.

Da regista è cut back da ‘Cento domeniche’, movie amarissimo e toccante su un operaio truffato dalla sua banca, una delle tante storie che ci consegna la cronaca.

“Quello operaio è un mondo dimenticato da decenni, dalla politica, dai media. Cinque milioni di lavoratori che sostengono il nostro Paese, una realtà che conosco perché il metalmeccanico l’ho fatto, da ragazzo. Capisco anche quel senso di impotenza che ci sente oggi, che ti spinge a non reagire. Per questo ho scelto quel finale crudele. E’ stato un movie faticoso ma necessario, e ho avuto incredibili reazioni”.

‘Cento Domeniche’, Albanese ex operaio in lotta con le banche

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Ora cosa lavora?

“Vorrei tornare a teatro. In autunno parte una mia tournée con tutti i miei personaggi e con altri, nuovi. Il soldato, l’uomo che prega: un uomo che ha una grande voglia di pregare ma non trova più la posizione giusta, già questo racconta la grande confusione religiosa che noi stiamo vivendo. E quel tono di Cento domeniche, che mi fa tornare alle origini”.

Cosa vede all’orizzonte?

“Un po’ più di serenità e saggezza. E la pazienza, io che sono sempre preoccupato”.

Perché?

“Ho sempre paura di deludere. Voglio rallegrare l’animo del mio pubblico. sempre. Fare le cose nel migliore dei modi e in modo onesto. Questo lavoro è una grande opportunità, che va onorata”.

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