Io sto con la sposa, un doc on the highway che è anche un atto politico. In streaming su MYmovies ONE

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Cinque profughi palestinesi e siriani sbarcano a Lampedusa in fuga dalla guerra. Il loro passaporto nelle ambasciate europee vale carta straccia. A Milano incontrano il poeta e scrittore siriano Khaled Soliman Al Nassiry e il giornalista Gabriele Del Grande che, assieme al regista Antonio Augugliaro, li aiutano a proseguire il loro viaggio verso la Svezia che da settembre del 2013 è l’unico paese che concede asilo ai rifugiati di guerra. Devono evitare di cadere nelle mani dei contrabbandieri. Così mettono in scena un finto matrimonio coinvolgendo una ragazza palestinese che si veste da sposa e una decina di amici che figurano come invitati. Io sto con la sposa – disponibile in streaming su MYmovies ONE presentato nella sezione “Orizzonti” alla 71° Mostra di Venezia accenna inizialmente alle forme di un movie di finzione con i due sposi/attori nel negozio di vestiti. Poi diventa un documentario on the highway che mostra in presa diretta una storia realmente accaduta di un viaggio di circa 3000 Km da Milano a Stoccolma avvenuto tra il 14 e il 18 novembre del 2013. Ci sono le tappe da raggiungere guardate sulla cartina, un viaggio che appare interminabile che si svolge prevalentemente in car ma anche in treno e anche a piedi, proprio per oltrepassare il confine tra Italia e Francia.

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A distanza di dieci anni Io sto con la sposa mantiene l’immediatezza e l’incertezza di quel viaggio, l’euforia, la stanchezza, la paura di non farcela. Tra numeri rap, lacrime, e il pensiero agli amici che non ci sono più, si costruisce sotto gli occhi dello spettatore. La Svezia diventa così un obiettivo reale e non un elemento drammaturgico. Così si avvertono i ritmi pressanti di una lavorazione finanziata con il crowdfunding, dove la telecamera non è mai invasiva ma diventa complice, anzi un altro personaggio di un viaggio con cui convivere. In tutte le storie mostrate dove più che le persone (non personaggi) conta l’esperienza condivisa, i dettagli privati si fondono con la dimensione collettiva. “Noi palestinesi non abbiamo una nazionalità”. Il percorso diventa quindi l’occasione di ricerca non solo di una vita migliore ma quasi di una nuova identità. Così è coinvolgente anche la commozione per aver ottenuto la cittadinanza italiana in un movie che va oltre il cinema e diventa prima di tutto un atto politico sulla migrazione. Le forme del cinéma verité non mantengono intenzionalmente la loro purezza proprio perché la messinscena iniziale è dichiarata. I ricordi, ma anche i dettagli tragici sono come cicatrici, come nel caso dei numeri segnati su un muro: 26 e 250. Il primo si riferisce ai corpi ritrovati, l’altro alle persone disperse.

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Apparentemente più claustrofobico durante i dialoghi in auto quando la telecamera si scontra con i volti dei viaggiatori chiusi nei loro silenzi e nei loro pensieri alternati alle canzoni, ai racconti e alle poesie, il respiro di Io sto con la sposa diventa più disteso mentre filma le città europee da Marsiglia, Nancy, Copenhagen fino a Malmö. Così ecco che, come nel ciclo “Confini d’Europa” diretti da Corso Salani, il confine tra finzione e documentario è frantumato, così come quello tra sollievo e disperazione, stanchezza e frenesia. I viaggi di Salani, con la sua troupe ridotta, hanno rappresentato un modello unico di fare cinema proprio perché ogni etichetta formale o di appartenenza a un genere sono sempre apparse subito riduttive. Alla advantageous sono la storia vissuta e le emozioni delle persone che si prendono un movie che non ha mai avuto bisogno di una scrittura che è sempre trasparente. Il gesto in cui padre e figlio si prendono per mano quando stanno per arrivare in Svezia racconta tutta la loro storia di confini, di barriere, di dolore. E ha qualcosa di liberatorio.

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