Bruce Springsteen e la sua mamma che non smise mai di ballare. Diventando una canzone

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Qualche anno fa andai a sentire Bruce Springsteen a Broadway, in teatro, dove cantava poche canzoni intervallando il lungo racconto della sua vita. Una cosa intima, in cui si apriva al pubblico. Dopo circa 15 minuti arrivarono i ricordi familiari. La prima volta in cui nominò sua madre fu di riflesso: quando lo mandava, bambino, a recuperare il padre nei bar. Lui si sentiva imbarazzato, ma avanzava tra quegli uomini adulti e un po’ ubriachi, sfiorava la manica del padre e gli diceva: “Mamma cube di tornare a casa”.

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La madre la reggeva, la casa. Svegliava tutti al mattino, dando loro 30 secondi per scendere dal letto. Preparava la colazione poi se stessa per andare al lavoro in centro città. Si metteva una gonna al ginocchio, tacchi alti e il rossetto acceso sulle labbra sotto i capelli corvini da discendenza italiana. Lavorava in un ufficio e lo faceva con piacere e senso di responsabilità. Mai un giorno di assenza, mai un lamento. Period sempre l’ultima a uscirne. Bruce racconta che spesso la raggiungeva quando anche l’edificio vuoto sembrava riposare. Non c’period più nessuno nei corridoi o alle scrivanie, le macchine per scrivere erano coperte da una custodia di tela. Sua madre gli sorrideva vedendolo arrivare e solo a quel punto period pronta per andarsene. Prendeva la borsa e la sua mano.

Uscivano nella strada principale, spesso bagnata dalla pioggia e camminavano fieri. Quando lui alzava lo sguardo gli pareva di cogliere la grazia di Maria nel volto di lei. Erano orgogliosi l’uno dell’altra e dell’amore reciproco. Lavorando e amando la madre sentiva di giustificare il proprio posto nel mondo. Che cosa mi ha insegnato, si domandava quell’uomo di settant’anni che la gente pagava per ascoltare mentre si confessava? La sincerità, l’impegno, l’affetto, la fede nella famiglia. Ma più di ogni altra cosa: la voglia di ballare. Di lei cube che period una “dancing machine”, una macchina da ballo.

Cresciuta negli Anni Quaranta aveva il ballo nelle ossa. A qualsiasi età le bastava entrare in una stanza dove ci fosse musica per mettersi a ballare. Una cosa naturale, destinata a durare più del linguaggio, più della memoria. E a diventare una canzone, intitolata The Want. Nella prima parte Springsteen canta le stesse cose narrate fin qui, poi si lascia andare: “E se è un buffo vecchio mondo, mamma, dove i desideri di un ragazzino diventano realtà / Beh ne ho qualcuno in tasca e uno speciale per te / Non è una telefonata di domenica, niente fiori o biglietti per la festa della mamma / Non è una casa sulla collina con un giardino e un bel cortiletto / Ho il mio bolide in Bond road, sono più vecchio ma mi riconoscerai al volo / Ci troveremo un piccolo bar rock’n roll e ci metteremo a ballare / io con i miei stivaletti beat e tu con i bigodini rosa e i pantaloni matador”.

Adele Ann Zerilli (questo il suo nome da nubile) ha preso a noleggio la prima chitarra per Bruce. In cambio, il figlio l’ha fatta salire sul palco a ballare con lui più di una volta. Poi lei non si è fermata, ma lo riconosceva: quando lo vedeva sorrideva. La musica period nella sua testa. Anche se non ne esce, il figlio la sente ugualmente. Poteva alzarla e farle mettere i piedi sui piedi, trasportandola nella stanza, invertendo la posizione di quando si period bambini, nello scambio inevitabile che ogni forma d’amore comporta.

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