Matteo Garrone e il lungo tour di promozione di Io capitano, Leone d’argento per la miglior regia all’ultima Mostra di Venezia, toccano uno dei momenti più belli e importanti, l’essere inserito nella cinquina ai prossimi Oscar, nella categoria di miglior movie internazionale. Un viaggio che, dal settembre del 2023, sta attraversando il mondo, dagli Stati Uniti all’Africa, in Marocco, come allo scorso Marrakech Movie Pageant, dove ha avuto la première africana. Un momento sentito, importante, ben accolto, visto che il movie è stato girato anche in quelle zone, e che ha dato al regista la possibilità di fare il bilancio.
Questo è un movie diverso dai suoi precedenti, lo sente maggiormente, si vede da come ne parla.
«Ogni scena è connessa con la realtà, io sono stato come un intermediario, in una cultura non mia, dando forma però a una esperienza emozionale, raccontando cosa significa fare quel tipo di viaggio, ma in una sorta di punto di vista al contrario, il loro. Quello dei giovani, del protagonista (l’esordiente Seydou Sarr, vincitore a Venezia del premio Marcello Mastroianni, ndr). Dietro ai numeri delle tante persone che partono, e purtroppo muoiono, ci sono essere umani, persone con i nostri stessi desideri, ambizioni, sogni, che cercano una vita migliore, vogliono scoprire il mondo».
Che emozione c’è nel rappresentare l’Italia nella corsa agli Oscar?
«Siamo molto orgogliosi intanto di essere stati selezionati. L’Oscar è qualcosa di prestigioso, offre l’opportunità di raggiungere un pubblico maggiormente ampio e più lontano. Il movie è stato distribuito anche negli Stati Uniti e c’è stata una reazione forte: è il viaggio dell’eroe, ha una struttura classica, è un racconto semplice, autentico, d’avventura, e poi per il fatto che molti immigrati vivono proprio in America, sono andati lì in passato, oppure ora, in cerca anch’essi di una esistenza diversa, è una sorta di Terra promessa. Infine abbiamo un argomento di forte attualità, quello degli schiavi moderni, cosa che anche la comunità afroamericana advert esempio sente da vicino».
Qual è la forza vera?
«In generale penso che il movie possa parlare a tutti, lo vedo come un archetipo, è un documento di storia contemporanea. Sta accadendo, e se pensiamo di risolvere tutto elevando un muro, siamo allora sulla strada sbagliata».
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È una storia universale.
«Per me è chiaro chi è l’eroe, e chi è il nemico, in altri movie invece questo livello è meno comprensibile. Qui dopo pochi minuti comprendi subito la personalità di Seydou, la sua innocenza, spiritualità e umanità, e ti metti in viaggio con lui, vivi con lui. In Italia quando faccio movie ne assorbo la cultura, ma in questo progetto non le nascondo che ero preoccupato, infatti mi sono preso diversi anni, volevo essere sicuro, solo dopo ho deciso di farlo, perché sentivo che mancava questa parte di narrazione. Essere qui in Marocco è una grande emozione, ha qualcosa di famigliare, siamo stati due mesi qui a girare».
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Il movie sta avendo un enorme successo anche fra i giovani, nelle scuole.
«Abbiamo in programma proiezioni fino a marzo. Grazie al mondo della scuola c’è un pubblico che normalmente non andrebbe a vederlo, infatti quando incontro gli studenti, e chiedo in quanti sono effettivamente andati, ne trovo pochi, mentre il resto no, forse perché pensano non possa interessargli. E invece la sorpresa arriva lì, si accorgono che parla anche di loro, vedono protagonisti della stessa età, con gli stessi sogni, passioni, genitori preoccupati, si relazionano, e tornano a casa condividendo ciò a cui hanno assistito. Sono molto contento di questo».
Se ripensa alla sua carriera, Io capitano compreso, cosa ha scoperto di sé maggiormente?
«Se penso a me stesso? È un viaggio personale, ma ogni movie mi aiuta a scoprire una nuova parte di me, imparo da ogni cosa. Al centro della mia ricerca rimane la condizione umana, e qui non potevo non parlare di esseri umani, di diritti».