Allegra, intimista, combattiva, in stretta relazione con le nuove tecnologie o dedicata solo al corpo in movimento. È una danza ricca di differenze quella che emerge dal Pageant della Biennale di Venezia in corso fino al 3 agosto. Il ricco programma 2024 firmato da una celebrità della coreografia internazionale, come il britannico Wayne McGregor, giustamente riconfermato alla direzione per altri due anni dal presidente Pietrangelo Buttafuoco, è un’utile occasione di conoscenza di nuove creazioni, ma soprattutto di cosa siamo “noi umani” (è il titolo del competition) in un mondo sempre più influenzato dai dispositivi tecnologici.
L’invito è a esplorare gli sconfinamenti tra umano e artificiale, tra corpo tecnologico e corpo biologico, come fa la stupenda compagnia taiwanese Cloud Gate Dance Theatre di Taiwan con il rigoroso e perfino poetico Waves, presentato nei giorni scorsi, dove i movimenti dei danzatori in carne e ossa rielaborati dalla IA si trasformano in quelli dei danzatori virtuali sullo schermo o, totalmente al contrario, come propone l’esaltazione del corpo umano, puro e semplice nella sua energia molto forte, di Pure order of issues, un lavoro della compagnia Gn|Mc dei coreografi e ballerini Maria Campos e Man Nader, un gran bello spettacolo con azioni sviluppate in sequenze di relazioni costruite con precisione matematica.
Proprio su questo confine tra corpi umani e corpi artificiali, i due estremi opposti, visti o che si vedranno in questa Biennale Danza, sono da un lato i due Leoni, quello d’oro, cioè la coreografa, teorica sperimentale, accademica e pioniera negli studi del movimento Cristina Caprioli, e quello d’argento, lo statunitense Trajal Harrell, e dall’altro lato l’esperimento-gioco della coreografa svizzera Nicole Seiler che in Human within the Loop (il 25) verifica come l’intelligenza artificiale istruisce i ballerini e, ogni sera, prende forma una coreografia diversa. Al polo opposto, appunto, c’è l’interessantissimo, rigoroso lavoro sul movimento di Cristina Caprioli. Italiana poco conosciuta in Italia, basata in Svezia, fondamentale nella ricerca critica sul corpo, è una vera ingegnera del gesto studiato nel minimo dettaglio fisico come accade in Impasse (fino al 3) un assolo eccellente di Louise Dahl che rinvia continuamente alla stilizzazione della sua figura proiettata lungo tutto lo spazio scenico o in Silver (il 3 a Forte Marghera) e perfino nell’occurring ai Giardini realizzato con gli allievi di Biennale School, The Bench, dove minimalismo e precisione maniacale del gesto diventano non virtuosismo fisico ma poesia.
Lo stesso effetto che produce Trajal Harrell, fra i più originali e richiesti danzatori e coreografi degli ultimi anni, ma con tutt’altro linguaggio, antitetico a quello della Caprioli, immerso come è in un originale ibrido di danza postmoderna, vouging, butoh: oltre a Sister or he buried the physique, una efficiency e nulla più di Harrell stesso ma profonda nella ritualità del dolore che esprime, il 2 agosto la sua compagnia presenta Tambourines un lavoro che, con riferimento a La lettera scarlatta di Hawthorne, racconta l’emarginazione delle donne “numerous” libere nel corpo e nella sessualità.
Molte altre sono le ibridazioni in questa Biennale: Shiro Takatani nella sua prima efficiency solista Tangent (il 25 e 26) attraversa il confine tra arti visive e performative; quasi teatrale invece è il lavoro di Ben Duke con la sua compagnia Misplaced Canine, Ruination: The True Story of Medea (1 agosto). All’incrocio fra danza contemporanea e mitologia, spiritualità, radici ancestrali afro c’è il lavoro del coreografo colombiano e attivista Rafael Palacios, Behind the South: Dances for Manuel (il 25).
A parte il deludente, noioso Posguerra di Melisa Zulberti, regista, coreografa, artista visiva argentina, vincitrice del bando internazionale per nuove coreografie, nei prossimi giorni torna protagonista Biennale School con la prima creazione veneziana di Wayne McGregor stesso: We people are motion si vedrà il 3 nella Sala Grande del Lido, quella della Mostra del Cinema, con il palcoscenico allargato oltre le prime file e immagini di movie proiettate sullo schermo. È una creazione che sta nascendo in questi giorni nelle show all’Arsenale con McGregor che pazientemente addestra i giovani allievi del School (“tutti bravissimi” cube) che balleranno con i danzatori della compagnia del “Maestro”, in una esperienza di pedagogia, creazione e soprattutto di trasmissione del sapere, unica e irripetibile.