Due donne vivono nella Baltimora del 1966 attraversata dall’odio razziale e dai pregiudizi nei confronti delle donne che lavorano, che si impegnano, che prendono la parola. Un anno e mezzo dopo verrà ucciso Martin Luther King. Nel frattempo, durante la parata del giorno del Ringraziamento, una ragazzina ebrea di undici anni scompare e viene ritrovata uccisa ai bordi del lago, alcuni giorni dopo. Nello stesso luogo verrà rinvenuto anche il cadavere di una donna afroamericana.
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La donna del lago, dal 19 luglio su Apple television+ con i primi due episodi seguiti da nuovi episodi ogni venerdì, fino al 23 agosto, è la prima serie del premio Oscar Natalie Portman, qui anche produttrice. La firma la regista israeliana Alma Har’el (Honey boy) che ha adattato il romanzo greatest vendor di Laura Lippman. Maddie Schwartz (Portman) è una casalinga ebrea che cerca di liberarsi del suo passato segreto e di reinventarsi come giornalista investigativa; Cleo Sherwood (l’attrice Moses Ingram, La regina degli scacchi, Obi – Wan Kenobi) è una madre che naviga nel ventre politico della Baltimora nera, mentre si affanna per crescere i suoi figli lontani da brutte frequentazioni.
“Sono due donne che vivono non troppo distanti e sono entrambe mogli, entrambe madri, entrambe alla ricerca di una propria libertà – cube Moses Ingram – Maddie e Cleo lottano per la propria liberazione in un mondo oppressivo ma lo fanno in maniera molto diversa. Natalie ha girato le sue sequenze prima di me quindi ho avuto modo di osservarla e costruire la connessione tra il mio personaggio e il suo e poi ho cercato di alzare l’asticella il più possibile per arrivare alla sua efficiency”.
Natalie Portman, come è andata con Moses Ingram? Avete poche scene insieme ma dovevano essere molto intense.
“Quando ho saputo che Moses si univa al progetto ho fatto letteralmente i salti di gioia. Ho pensato alla fortuna che avevamo advert avere un talento come il suo per il ruolo di Cleo, sono stata felice di lavorare con lei e conoscerla meglio e scoprire che l’essere umano è divino quanto l’artista. Alma è stata molto brava a creare un senso di comunità molto forte sul set e ci ha dato la forza di improvvisare e essere creativi”.
La sfida più grande?
“Credo semplicemente la resistenza. Essendo abituata al ritmo cinematografico, ritrovarmi a girare una serie dove ogni giorno sul set period una sfida emotiva grande è stata una prova di resistenza. Per girare la serie abbiamo impiegato sette mesi di cui io ne ho girati cinque”.
In che modo la serie, che è un atto d’accusa contro la società razzista e misogina degli anni Sessanta, parla al pubblico contemporaneo?
“Credo che la distanza del tempo ci aiuti a vedere meglio l’America degli anni Sessanta, ma in qualche modo anche il riflesso della nostra società in quell’epoca. Purtroppo anche se abbiamo fatto una lunga strada di cui vediamo gli effetti è inevitabile osservare come certe forze ancora persistano e quanto lavoro ci sia ancora da fare per cambiare le cose”.
La sua famiglia viene da Baltimora, ha preso ispirazione dalla sua storia?
“Per me è stato emozionante rivivere la storia dei miei bisnonni che sono immigrati a Baltimora dall’Europa dell’est. Mia nonna è nata a Baltimora e poi si è trasferita a Cincinnati, ma aveva circa quarant’anni negli anni Sessanta. Per costruire Maddie mi sono un po’ ispirata a lei e alla sua vita nella comunità ebraica, nell’ambiente politico e sociale dell’epoca”.
So che ama la scrittura degli italiani. In letteratura e nel cinema.
“Elena Ferrante è la mia autrice preferita, in assoluto nel mondo. Poi c’è Natalia Ginzburg la cui scrittura è molto importante per me. E poi gli autori per il cinema. In questo momento sono innamorata di Alice Rohrwacher, la trovo veramente brillante. Amo il cinema di Paolo Sorrentino, di Luca Guadagnino, senza dimenticare naturalmente i maestri del passato. Un numero story che è quasi imbarazzante ricordarlo. Tra cui il grande Ermanno Olmi, Federico Fellini, Vittorio De Sica potremmo stare qui a parlare della storia cinematografica dell’Italia per ore”.
Lei ha iniziato questo mestiere giovanissima. Essere diventata produttrice e regista come ha cambiato l’approccio al lavoro?
“Sicuramente ha coinciso con l’ingresso nella mia età adulta del mestiere. Ho iniziato come attrice bambina e sono cresciuta sui set in una sorta di infantilizzazione, perché come attrice tutti si prendono cura di te sollevandoti da tutti i problemi, creandoti uno scudo. Diventare adulti significa cominciare a prendere decisioni, occuparsi delle questioni da risolvere, occuparsi degli altri. Cominciare a far parte di questo processo creativo è stato per me un modo importante di prendere potere nella mia carriera”.
Crede che essere una produttrice stia cambiando anche il suo modo di scegliere i movie, i ruoli?
“No quello no. Credo che tutto sia mosso sempre da quello che ti interessa e dalla possibilità di fare esperienza di cose che nella mia vita reale non farei. Affondare i denti in un personaggio è sempre quello che mi muove nella scelta dei progetti”.