Così semplice, da risultare inaspettato. Originale. In grado di offrire alla 70esima edizione del Pageant Puccini di Torre del Lago, nel primo nice settimana, un segnale critico e artistico preciso, La mente logica, cartesiana per alcune derive professionali ma infuocata dalla passione per l’opera di Pier Luigi Pizzi lascia subito un segno forte.
Da responsabile, direttamente o tangenzialmente, del progetto visivo disegna la cornice di palcoscenico: la delimita con un vasto ledwall-fondale, la ambienta con oggetti minimi, e la movimenta con un girevole centrale. Diventa luogo dell’azione preciso e insieme neutro. Il comune richiamo narrativo facilita la memoria e l’attenzione degli spettatori. Da direttore artistico del pageant del centenario della morte dell’autore, Pizzi disegna un cartellone popolare come si confà al luogo e al tipo di pubblico ma allo stesso tempo “di proposta”.
Così le prime cinque opere di Puccini si susseguono nel cartellone. Seguendo il dettaglio calendariale delle loro prime: 1894 Le Willis, 1889 Edgar, 1893 Manon Lescaut, 1897 La Bohème, 1900 Tosca.
Ma l’apertura del pageant è un’inedita provocazione spettacolare e d’ascolto. Prima il singolare dittico Le Wllis/Edgar, i due titoli meno noti, l’esordio d’autore da poco licenziato dal Conservatorio. Ventiquattr’ore dopo il terzo, il primo grande successo. Manon Lescaut. Impossibile non ricordare che l’opera fu battezzata nelle stesse settimane di Falstaff di Verdi, ultima sua opera. Un passaggio di consegne facile da riconoscere. Ma nello specifico pucciniano l’opportunità festivaliera ha messo a fuoco anzitutto lo snodo drammatico e musicale incarnato da Edgar, qui eseguito nella semi-ignota stesura in quattro atti accreditata della fresca edizione critica. In prima moderna.
Partitura scapigliata, non solo per il bizzarro libretto di Ferdinando Fontana, Edgar apre un cantiere operistico tutto suo, dove i gesti musicali e teatrali audaci, eludono in parte il modello verdiano e sviano rispetto alla montante voga verista. Tutto evidente criticamente. Ma per il pubblico è stata decisiva la riprova concreta d’ascolto. Verificando di pancia quanta distanza c’è tra il compositore di Le Willis, debutto pucciniano assoluto su un libretto che la ricreazione drammaturgica di Pizzi – le villi come emanazione dell’anima dolorante ma vendicativa, e del pari dannata, di Anna, la ragazza tradita – rende meno inerte.
Ma non regge il confronto con il teatro ambizioso, quanto confuso, con cui Puccini prende confidenza in Edgar. Gettando le basi, attraverso una struttura musicale ‘sinfonica’ più che ‘melodrammatica’, per campate narrative e dettagli armonici che solo in Manon Lescaut saranno pienamente sviluppati. La sintassi drammatico-conversativa di penetrante verità espressiva delinea i tratti della ‘nuova’ orchestra e identità vocale pucciniana. La linearità non pigra né nostalgica o sviata da tentazioni iperinterpretative delle due letture sceniche – di Massimo Gasparon, interamente, Manon Lescaut; sempre con la firma coreografica intrigante di Gheorghe Jancu – rendeva facile assaporare il tragitto evolutivo d’autore.
Non c’period modo migliore per collocare criticamente il decennio passato tra Le Willis e Manon, assegnando finalmente a Edgar un ruolo di snodo creativo esclusivo. E al pubblico la serata-maratona è piaciuta, proprio perché indiscretamente protesa a raccontare il primo laboratorio operistico pucciniano.
Dal punto di vista culturale e spettacolare, una proposta degna della storia del pageant. Con alti e bassi, la qualità interpretativa espressa da concertatori, orchestra e cantanti. Non graffia né provoca la guida poco stagliata di Massimo Zanetti, direttore del dittico inaugurale. E si patisce la mancanza di un distinguibile arco interpretativo – fatto di fraseggi duttili e carichi di intenzioni, di varietà di tinte e perentorietà drammatica – nell’esecuzione solo calligrafica di Beatrice Venezi (in Manon Lescaut) che però ha fatto suonare meglio l’orchestra. Rendendo meno esplicita la suggestiva provazione storico-critica.
Prova intensa, anche attorialmente, per Lidia Fridman nel dittico, discreta la Manon di Alessandra Di Giorgio e alcuni ruoli caratteristici dell’avvincente partitura. Dove Puccini si presenta non più come lo sperimentatore vorace di Edgar ma il già lucido compositore del futuro. Come dimostra il filotto Bohéme/Tosca successivo, nell’arco di sette anni, che sul palcoscenico del Gran Teatro Puccini di Torre del Lago saranno protagoniste il 20 e 26 luglio.