Più che un pageant è un autentico e ricco mosaico di immagini sul poliedrico, ossessivo, emozionante lavoro creativo di Jan Fabre, il 65enne artista belga che occupa da oltre un trentennio un posto centrale nel panorama internazionale delle arti visive e del teatro, un ‘maestro’, innovatore di linguaggi a partire però dal legame profondo con il passato, che siano Rubens e i pittori fiamminghi o Artaud e Mejerchold.
E ha l’aria di una vera e bella ‘personale’, questa organizzata a Milano lungo tutto il mese di settembre, fortemente voluta dal Teatro Out Off, che incrocia con spettacoli, una mostra, incontri e stage pedagogici il Fabre regista e autore, il Fabre artista visivo, il Fabre pedagogo intorno al tema “dell’amore e della bellezza, poteri supremi” , titolo del pageant e leit motiv di tanti suoi lavori insieme al femminile e al corpo della donna, leve poetiche essenziali per un cambiamento dello spirito del tempo nella visione di Fabre.
Decisamente originale e in buona parte inedito è il programma teatrale che presenta non i lavori “maggiori” con l’intera compagnia del Troubleyn di Aversa, come l’anno scorso fu con Peak Myticas, seguito ideale dello spettacolo-manifesto del 2015 Mount Olympus, ma i monologhi, assoli scritti da Fabre, alcuni in prima assoluta per l’Italia e diretti per le sue attrici: interpreti storiche come Els Deceukelier o più giovani come l’italiana Irene Urciuoli.
Si tratta di pagine di diari personali, riflessioni intime, talvolta magari arzigogolate o criptiche, interrogazioni sull’arte e sul corpo della donna, “necessità” per esternare il senso politico e poetico del proprio pensiero, affidate alle attrici, alle “guerriere della bellezza”, come Fabre chiama i suoi performer, forgiati dal lavoro sul corpo, sulla voce, sull’espressività fisica. Simona, the gangster of artwork che ha aperto il pageant e sarà replicato il 27 e 28, è per esempio la vicenda (curata come gli altri dalla drammaturgia di Miet Martens) di una criminale-santa, versione femminile di Simone lo stilita, la quale sogna di ripulire il mondo dell’arte “drogato” (la scena è uno studio d’artista ricoperto di ‘polvere bianca’) dalla mercificazione.
Simona sniffa cocaina e purifica, ruba “L’Urlo” di Edvard Munch dal museo nazionale di Oslo ma ne custodisce la purezza dentro di sé, mangiandone pezzi, auspicando un ritorno al valore intrinseco dell’arte, ai poteri curativi e spirituali della bellezza. Chiaro che si tratta di una allucinazione, da prendere così, dove emerge la presenza di Irene Urciuoli, performer italiana da sei anni nella compagnia di Fabre: delicata e concreta, colpisce per precisione e duttilità, forza fisica ed evocativa nella lotta per il potere della bellezza.
Con tutte le differenze del caso, seguiranno nei prossimi giorni gli altri quattro assoli: la novità Io sono un errore (il 13 e 14) sempre con Irene Urciuoli, autoconfessione giovanile (è del 1988) del Fabre artista che è anche una protesta contro il mondo dell’arte. I’m sorry il 17 e18 con Stella Höttler, quasi una denuncia del politicamente corretto, “censura” delle voci dissenzienti e radicali. Elle était et elle est, même il 20 e 21, con la “musa” Els Deceukelier, è una sorta di dichiarazione di poetica del teatro di Fabre e I consider within the legend of love con Ivana Jozi?, il 24 e 25,è una dolcissimo abbandono all’amore e alla vita. Completano il programma due testi di Fabre allestiti dal regista Lorenzo Loris, Angel of loss of life (Angelo della morte) dal 5 ottobre e Giornale notturno (1978-2012) dal 4 ottobre, la sessione pedagogica sul metodo performativo di Fabre e soprattutto la mostra alla Galleria Gaburro dal 19 settembre, a cura di Melania Rossi: a raccontare bellezza e amore è qui una drammaturgia visiva con opere di Fabre, installazioni video, disegni, sculture e fotografie ardite dove il corpo della donna, anche nudo, erotico, astratto diventa la chiave ironica e amorosa di un’altra più radicale e nuova coscienza di sé.