‘Il tempo che ci vuole’, il coraggio di Francesca Comencini: storia tenera e drammatica di un padre e di una figlia. La recensione di Alberto Crespi

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VENEZIA – È un giorno di figlie e di padri. Giovanna Mezzogiorno a Venezia Classici ricorda il Mahabharata di Peter Brook, dove lavorava come attore – sia in teatro, sia nel movie – il suo grande papà Vittorio, attore che troppo presto ci ha lasciati. E Francesca Comencini, con il decisivo apporto della sorella Paola alle scenografie, porta fuori concorso Il tempo che ci vuole, incentrato sul suo personalissimo, drammatico, tenerissimo rapporto con il padre Luigi Comencini, uno dei più grandi registi del nostro cinema. Period un’impresa emotivamente e artisticamente ardua, advert altissimo rischio. Francesca ha fatto il miracolo. È un movie bellissimo, che avrebbe meritato il concorso più di almeno due-tre dei titoli italiani che hanno avuto story onore (o onere, chissà).

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Francesca Comencini sul set con Romana Maggiora Vergano 

Luigi Comencini ha avuto quattro figlie: Paola, Cristina, Eleonora e Francesca, la più piccola. Nel movie c’è solo lei. È una scelta narrativa estrema, condivisa con le sorelle. In sostanza Il tempo che ci vuole ha due personaggi: un padre, che di mestiere fa il regista, e una figlia, che all’inizio è una bambina affascinata dalla macchina-cinema e poi diventa un’adolescente inquieta, momentaneamente incapace di trovare una propria strada.

La prima parte del movie ricostruisce il famoso set di Le avventure di Pinocchio, uno dei capolavori di Comencini, uno “sceneggiato” (allora li chiamavano così) che è rimasto scolpito nella memoria di tutti coloro che lo videro nei primi anni 70. Il rapporto della piccola con questo padre alto e bello, che la porta sul set per “giocare al cinema” e poi le legge le fiabe la sera, sembra un idillio. Ma poi si cresce. E da ragazza, la figlia vive esperienze drammatiche, nelle quali rischia di perdersi. Finché un giorno il padre la afferra, la stringe a sé e le cube: “Ora partiamo, io e te. Andiamo a Parigi. E io non ti lascio più sola nemmeno per un minuto”. “E quando partiamo?”, chiede lei; “Ora, non serve nemmeno fare la valigia”; “E quanto stiamo through?”; “Il tempo che ci vuole”.

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Luigi Comencini, scomparso nel 2007 

Ci vorrà un po’ di tempo, in un appartamento parigino in affitto, quasi vuoto, che ricorda curiosamente quello di Ultimo tango a Parigi: e anche qui ci sono un uomo adulto e una ragazza, ma sono un padre deciso a tutto pur di salvare la figlia, e una figlia che inizialmente si sente in prigione ma lentamente sente cambiare qualcosa dentro di sé. L’amore paterno, Parigi e il cinema la salveranno.

È tutto rigorosamente autobiografico, spiega Francesca. Ma è anche tutto stranamente universale. Ed è bello come il dramma familiare, risolto con toni da mélo molto trattenuti, si mescoli con la memoria del cinema che per il vero Comencini period tutto: non dovremmo mai dimenticare che Luigi, oltre che un grande regista, è stato (assieme al fratello Gianni e advert Alberto Lattuada) uno dei primi “cinetecari” al mondo, uno dei fondatori della Cineteca Italiana di Milano. Tutte le immagini di vecchi movie contenute in Il tempo che ci vuole vengono da quell’archivio, da movie che Luigi ha contribuito a salvare. Ed è bellissimo che due di essi, Dagli appennini alle Ande del 1916 e il Pinocchio di Giulio Cesare Antamoro del 1911, riguardino due classici della letteratura italiana che poi lo stesso Comencini avrebbe filmato molti anni dopo.

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Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano in ‘Il tempo che ci vuole’ 

Il tempo che ci vuole non sarebbe quello che è senza due attori prodigiosi: Fabrizio Gifuni fa Comencini con la sua ormai proverbiale capacità mimetica, ed è il padre autorevole e affettuoso che tutti vogliono avere; Romana Maggiora Vergano dimostra che, dopo C’è ancora domani (dove period la figlia di Paola Cortellesi), per lei c’è un grande domani.

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Il tempo che ci vuole (Italia, fuori concorso)

Regia: Francesca Comencini

Voto: quattro stelle su cinque

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