Favino da Venezia lancia un messaggio ai giovani attori: “Ricordate che contano solo le emozioni dello spettatore, non le nostre”

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VENEZIA – “Molte sono le cose che fanno paura a un attore: paura di non piacere, il bisogno di farsi dire bravo, la necessità dell’applauso, sono debolezze che appartengono a tutti. Si cube che la molla dell’attore sia l’ego, io non lo credo. Credo che per essere un buon attore, uno di quegli attori che ti fanno dire “non sta facendo niente ma sembra che faccia tutto”, come Anthony Hopkins o Gena Rowlands, occorra liberarsi di quello che non è essenziale. Ci può volere una vita”.

Favino e Rohrwacher a Venezia 81 in ‘Maria’: “Sul set con Angelina Jolie, emozionante e semplice nello stesso tempo”

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All’indomani della première di Maria di Pablo Larrain, con Angelina Jolie nei panni della Callas, Pierfrancesco Favino dialoga con un gruppo di aspiranti attori sul tema della recitazione al Campari Lounge del Lido, scherza perché si presenta con un ventaglio in stile Butterfly: “Il pageant di Saigon è bellissimo”. Ai ragazzi e alle ragazze di Generazione Do, il progetto di Daniele Orazi dedicato alla nuova generazione del cinema italiano, l’attore si presta a rispondere sui provini, la paura di non piacere, il tema del camaleontismo, la costruzione di un ruolo.

‘Maria’, Angelina Jolie e Pierfrancesco Favino nel movie su Maria Callas – clip

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E parte proprio dall’esperienza del movie di Larraìn. “È un direttore d’orchestra che parte da un materiale scritto ma poi sul set inventa, sposta, muove, qualsiasi preparazione poi deve tener conto di tutto questo. Più di altre volte mi sono trovato a improvvisare, di fronte a scene che scritte per un luogo diventano un altro, sei dietro una porta e la porta non c’è più. Per lavorare con lui devi essere pronto a divertirti e a scoprire in quell’istante cosa accade. Per esempio la scena della partita a carte tra Maria, Bruna (Alba Rohrwcher) e Ferruccio è una scena improvvisata. Larraìn è sempre in macchina, è anche operatore, quel giorno dovevamo girare due scene e mentre venivano preparate ha avuto questa concept della partita a carte. Ne abbiamo girate altre di sequenze così che poi non sono montate. Lavorare così ci ha unito molto come attori siamo arrivati a girare le scene di famiglia nel movie alla fantastic della lavorazione”.

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Nella foto il regista Pablo Larrain, Angelina Jolie, Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher (agf)

Ai ragazzi che gli chiedono del suo camaleontismo e di come approccia la costruzione dei personaggi Favino racconta: “Essere camaleontici è diverso di mettersi una maschera che significa dipingere per non far vedere qualcosa dietro. La nostra tradizione è la maschera e infatti veniamo dalla commedia dell’arte, dalle categorie settecentesche e anche la commedia all’italiana ha fatto uso delle maschere. Io per vent’anni non ho avuto la faccia giusta, sono uscito dall’Accademia nel 1992, ai provini per vent’anni ho continuato a interrogarmi su cosa non ero riuscito a fare. All’aspirante attore che chiede se sia meglio proporsi con volti diversi rispondi: “Abbi il coraggio di farti vedere come sei, anche perché spesso ti scelgono come esci dalla porta. Ognuno si costruisce un’immagine di sé e si vergogna di come si svegli gonfio la mattina, ma il regista magari ti sceglie proprio perché sei gonfio”.

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Per la costruzione del personaggio (parola a cui Favino preferisce il termine essere umano) fa due esempi totalmente differenti. “Per Hammamet si trattava di un personaggio estremamente presente nella memoria collettiva. Craxi è una persona con tratti forti di riconoscibilità, sui miei appunti il circoletto rosso period intorno alla parola “management”. Quando preparo un movie divento un cronista cerco di parlare con tutti, se parlo con una figlia ho una versione, se vado da un nemico politico un’altra, e poi io porto by way of quello che mi è utile. Ho fatto una grande ricerca di immagini e ho notato che negli anni 50 e 60 non muoveva la testa nel modo che poi period diventato un suo tratto distintivo, quando mi sono focalizzato sugli occhiali ho capito che tutto dipendeva dalle lenti degli occhiali che erano passati da essere da miope a bifocale. Ho scoperto che aveva preso delle lezioni di dizione al Piccolo ma non aveva voluto perdere totalmente l’accento, voleva ritrovare una sonorità vicina al modo del sud da cui proveniva il padre, una scelta politica”.

Per Ferruccio è stato diverso: lui ha scritto un libro, ha trasformato la sua casa in un museo, ho visto una lunga intervista fatta dalla produzione ma ho scelto di non incontrarlo. Lui ha avuto un problema serio alla schiena e mentre lavoravamo e si parlava di dolore spirituale, creativo ho cominciato a chiedermi se poteva interessare anche questo aspetto fisico del dolore. L’ho proposto a Larraìn che mi ha detto Proviamo… Credo che il pubblico sia molto più vicino a Ferruccio e Bruna, ho pensato che un mal di schiena so cosa è. Così ho pensato di acuire il dolore e la zoppia nel momento in cui lei stava male come se il suo male si riflettesse su di noi”.

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Con Anna Ferzetti (agf)

“Il nostro è un mestiere bello e sottovalutato. Con Maria sono felice di far parte di un movie che parla di un’artista. Di fronte all’arte non importa cosa prova l’artista importa cosa prova chi la guarda. Su questo c’è un fraintendimento: al cinema conta l’emozione dello spettatore, non l’emozione dell’attore. Quando ti tuffi da un’altezza ci metti un po’ a saltare e poi quando sei in volo ti chiedi che ne sarà di me? La recitazione è così e la rete è l’altro, il accomplice, il regista, la troupe… Se invece sai tutto prima per proteggersi non ha senso, recitare necessita il coraggio staccare i piedi dalla rupe… Nel nostro mestiere non sai mai cosa viene dopo. Di solito poi quando ti sei tuffato provi il desiderio di dire ‘lo voglio rifare subito’. È un po’ una droga, ma sana, bella. Ogni volta che andate a fare un provino toglietevi dalla testa tutte le paure su cui non potete fare niente e concentratevi sulle cose che potete fare voi per prepararlo. E continua a provare, un giorno magari ti prenderanno o magari no. È il mestiere che ci siamo scelti”.

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