Locarno, premio alla carriera advert Alfonso Cuaron: “Il cinema mi ha salvato la vita”

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I movie “mi hanno salvato la vita più volte”, parola di Alfonso Cuaron che torna con la memoria a suoi momenti difficili, personali e artistici, nella masterclass al Locarno Movie Competition dove ha ricevuto un premio alla carriera, il Lifetime Achievement Award.

Il regista messicano, classe 1961, condivide in un’ora e mezzo di incontro, con franchezza e humour, riflessioni, ricordi e aneddoti legati alla sua precocissima passione per il cinema (“ho capito subito, da piccolo, che è quello che avrei voluto fare”) e alle tappe più importanti della sua carriera. A cambiare per sempre la sua prospettiva sulla settima arte è stato, vedere, “da bambino, insieme a mio cugino, Ladri di biciclette – sottolinea -. Non avevo mai visto un movie così poetico e allo stesso tempo ancorato alla realtà. Mi ha spinto a cercare sempre più movie come quello”.

Un percorso di cui il capitolo più recente si scoprirà alla Mostra del Cinema di Venezia, dov’è in programma fuori concorso la miniserie thriller per Apple Television+, da lui scritta, diretta e coprodotta, Disclaimer, con Cate Blanchett nel ruolo di una giornalista documentarista, specializzata nello svelare scandali, che si ritrova personaggio principale di un romanzo nel quale viene rivelato il suo più grande segreto.

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Per il cineasta vincitore di quattro Oscar, capace di esplorare i generi unendo temi sociali, personali e intrattenimento, da Y tu mamà tambien a Gravity, da Harry Potter e il prigioniero di Azkaban a Roma (Leone d’oro nel 2018), da Paradiso perduto all’apocalittico I figli degli uomini, “i movie peggiori sono quelli didascalici. Non penso che si debbano sempre trattare temi sociali – sottolinea rispondendo a una domanda – ma se è qualcosa che si vuole fare, bisogna partire da un argomento che ti tocchi a livello personale, che senti, non sceglierlo perché senti in maniera astratta che è importante”.

Per Cuaron non sono mancate le difficoltà e le disavventure, come vedere il suo primo movie, Uno per tutte (1991), acquisito dalla Miramax che invece di distribuirlo all’estero l’ha fatto sparire dal mercato (“è stata la prima volta che Harvey Weinstein mi ha fottuto – ironizza – poi è anche ricapitato”).

Tanti però anche gli amici salvifici come il direttore della fotografica Emmanuel Chivo Lubezki, conosciuto ancora prima della scuola di cinema, nei cineclub (“vedevamo movie di tutto il mondo, ma ci andavamo soprattutto per le feste che si facevano dopo”) e Guillermo Del Toro che l’ha convinto, advert esempio, a non scartare a priori la regia di Harry Potter: “Mi ha preso a male parole, e un messicano ne ha tante, quando gli ho detto di non aver letto i libri. Grazie a lui l’ho fatto e ho capito che non period solo fantasy, ma una storia di formazione che esplorava le numerous classi sociali”.
Senza dimenticare la fiducia che gli hanno accordato personaggi come Sydney Pollack, che gli ha affidato la prima regia a Hollywood, per un episodio della serie neo noir Fallen Angels (1993): “Sul set ero terrorizzato – racconta – e il primo giorno period andato malissimo. La mattina dopo però i protagonisti Laura Dern e Alan Rickman hanno chiesto di parlarmi. Io temevo il peggio invece loro mi hanno sostenuto, dicendomi che credevano nel mio talento e che si mettevano a mia disposizione” . Un esempio “di come le persone che nella tua vita ti danno fiducia possono cambiare tutto. Sarei folle a parlare della mia carriera limitandomi a me stesso senza includere tutti quelli che mi hanno aiutato”.

Una strada avventurosa lungo la quale è capitato che un flop, quello di Paradiso perduto, gli abbia fatto capire di dover realizzare una storia che sentisse veramente, come quella di Y tu mamà tambien, o che un trauma collettivo come l’11 settembre lo abbia portato a realizzare uno dei suoi movie più potenti, il distopico I figli degli uomini (2006): “Ho sentito che il mondo sarebbe cambiato in peggio – osserva -. Noi forse vivevamo in una bolla di ottimismo capitalista ma molte immagini nel movie rispecchiavano quello che accadeva nei Balcani, nello Sri Lanka, in Iraq”.

Per il futuro non esclude di esplorare anche uno dei generi prediletti dell’amico Del Toro, l’horror: “Da spettatore lo amo molto anch’io, mi diverte. Guillermo è più metafisico, il mio horror sarebbe più radicato nella realtà. Ho anche provato a scrivere qualcosa, ma ancora non funziona… vedremo”.

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