Giulio Base e ‘La versione di Giuda’: “Ho cercato la verità dei Vangeli e l’incontro di Gesù con gli ultimi”

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Giulio Base, regista – e direttore del competition di Torino – gira in Calabria un movie sulla figura del grande traditore, ultimo degli ultimi, con un forged internazionale. La versione di Giuda è liberamente tratta dalle scritture sacre, ma anche dai romanzi più moderni che hanno affrontato una delle determine più controverse dell’umanità. Figlio di una prostituta a cui la chiromante predice che partorirà (per poi morire) un diavolo, concepito con un cliente occasionale, Giuda cresce nel bordello, uccide il tenutario che tenta di violentarlo e vi si sostituisce, protettore delle donne e della comunità. Quando Gesù salva Maria Maddalena (sorella e protetta di Giuda) dalla lapidazione, l’uomo lascia tutto e segue il “guaritore”, l’ultimo fra gli apostoli a essere chiamato. Tre anni nella comunità, l’ultima cena, i fatti della Passione e, su quelli, la Versione di Giuda. Nel forged del movie ci sono John Savage, Giuseppe, Rupert Everett è Caifa, Paz Vega è Maria, Abel Ferrara Erode, ci sono anche Darko Peric e Tomasz Kot.

Base, com’è lavorare con John Savage?

“Savage è un uomo di una saggezza, di pulizia, sincerità, tranquillità: tutto quello che vorrei essere anch’io fra 15 anni. Non se la tira ed è un uomo eccezionale, una leggenda che si mette totalmente a disposizione, che dal primo istante ha speso parole meravigliose sul movie. È un uomo che ha la luce del mondo negli occhi, ogni mattina ha una nuova concept, e intuizione. Sono orgoglioso di questo forged. Il movie è coraggioso su più punti di vista. Innanzitutto, perché è raccontato in soggettiva da Giuda, che non si vede mai. Il suo sguardo è, letteralmente, quello dello spettatore. Linguisticamente questo flusso di racconto è dato da una voce importante scelta tra le migliori di ogni Paese. Sullo sfondo una babele di lingue, frammenti di aramaico e un brusio di dialetti calabresi, ho chiesto alle comparse di usare quelli calabresi più remoti”.

Da dove è nata l’concept del movie?

“Durante il Covid a tutti noi è successo qualcosa, c’è chi si è depresso, chi ha trovato nuovi interessi o valvole di sfogo. Io mi sono interrogato su quello che volevo raccontare per davvero. E il mio desiderio period raccontare la mia imperfezione di uomo, di cristiano, la mia fallibilità. Però, interrogandomi sul perché: si pensa che Dio o gli enti supremi che hanno deciso tutto siano perfetti e che tutto sia stabilito. Allora perché non ci hanno fatto anche migliori? Scavando su questo concetto sono arrivato al peggiore dei peggiori, o almeno quello considerato story, o che Dante mette al 33.º giro dell’inferno, cioè il peggio del peggio. E allora, nei panni di Giuda, mi interrogavo; se tutto è parte di un disegno, che colpe ha Giuda? Mi sono interrogato sui fatti evangelici che tutti conosciamo, cristiani e no, patrimonio culturale dell’umanità. Mettendomi dalla parte di questo uomo sbagliato, di questo colpevole che s’interroga sul perché sia condannato al suo gesto. Che si sente fiero di far parte di un disegno così grande. E, sullo sfondo, il racconto del mondo dalla parte degli ultimi, dei reietti, dei poveri, dei disperati, dei respinti. Giulia è l’ultimo di quegli ultimi”.

Il movie segue una struttura narrativa che è la vita di Giuda?

“Sì. Mi sono inventato un’infanzia e una gioventù che segue i suoi fatti, legati ovviamente a ciò che vivrà nei tre anni di convivenza con Gesù e quella sua comunità fraterna, libera, zingaresca. L’infanzia l’ho ricostruita cercando di capire da dove venisse la tragedia interiore così forte. È un uomo che ha venduto donne, che è nato e cresciuto in un postribolo, che ha subito violenza, e ha visto il peccato. Tutto questo lo ha ferito. Di certo non è un biopic di Giuda”.

Quali sono state le sue fonti principali?

“Ho letto tutto o quasi quel che period possibile leggere. Ci sono testi che ritengo fondamentali, uno dei racconti di finzione di Borges che proprio su Giuda, uno di Thomas De Quincey, Giuda Iscariota. Ma anche alcuni romanzi moderni: Amos Oz ha scritto un Giuda fenomenale, Giuseppe Berto nel suo La gloria affronta questa figura. C’è una scoperta recentissima dal punto di vista della storia millenaria evangelica: nel 1978 è stato trovato un apocrifo che si chiama proprio il Vangelo di Giuda, un testo gnostico proveniente dai primi secoli. E poi come sempre in queste cose pensi di inventare la novità, poi scopri che esiste una bibliografia sterminata. Ho letto un centinaio di volumi, ma ho anche inventato parecchio, mettendo quel che sentivo di voler dire: un po’ di sicurezza accademica questa preparazione me l’ha knowledge”.

Tra le versioni di Giuda raccontato sullo schermo, questo in cosa si distingue?

“E’ un movie nato piccolissimo, come Il banchiere di dio. Quando ho iniziato a far girare il copione sono arrivate telefonate incredibili di attori che volevano esserci. Forse è stata l’concept di una narrazione che s’avvicina alla vita, una comunità che vive nell’uguaglianza, nella mancanza di differenziazione. Ho reso gli apostoli veri, senza aureola. C’è un ragazzo che è davvero un non vedente, una persona di colore, uno claudicante. Ho cercato la verità dei vangeli, Gesù non è andato a predicare nei quartieri dell’alta borghesia ebraico, si trascinava una comunità di quelli che i vangeli definiscono gli sciancati, gli storpi, i malati, le prostitute, gli ultimi. A questo racconto degli ultimi affianco prese di posizione coraggiose rispetto al sesso, alla libertà, alla convivenza di queste persone. Un ritratto franco di questa piccola tribù di “rivoluzionari”. Questa è la particolarità, come pure la soggettiva di Giuda, che sto girando proprio ora e che a volte mi spaventa: un salto mortale triplo”.

Quali i riferimenti dal punto di vista cinematografico, da Pasolini a “La Passione” di Mel Gibson, che hanno i paesaggi di Matera. Quali i movie che le hanno parlato di più?

“Tutti e due questi movie, che sono i due estremi assoluti del racconto. Non puoi prescindere appunto dal Vangelo secondo Matteo di Pasolini per la forza e la nitidezza di come è raccontato: è soprattutto quello che lui ha fatto, digicam fissa sul volto di attori in cui ripetevano le parole. Tra l’altro la nostra percezione period un po’ diversa, perché tutto è doppiato dalle più belle voci del cinema italiano: Enrico Maria Salerno faceva Gesù, con una dizione perfetta. Period qualcosa di semplice però in qualche modo anche aulico. Mel Gibson invece ha fatto un’operazione di intrattenimento, ha creato una cosa thriller, horror, gore, che rispetto anche per lo straordinario successo mondiale. All’epoca Mel quando l’ho incontrato, anche io avrei dovuto essere su quel set ma avevo altri impegni. Mi ricordo quando mi disse che avrebbe girato in aramaico, una scelta che il cinema recente lo ha cambiato”.

Difficile conciliare gli impegni di set e l’incarico di direttore del Competition di Torino?

“Dormo poco la notte e soprattutto non faccio altro. Il mio tempo è tutto dedicato a questo: lavoro e basta. Il Competition è un grossissimo impegno. Li avevo però avvertiti dal primo istante che questo set una cosa pregressa: ci sono dei finanziamenti che scadono e da tanto tempo il set period fissato nell’property 2024. Ma ho lavorato molto in anticipo al Competition, tante cose già decise. Mi sono impegnato al massimo a guardare tutti i movie possibili prima, ho fatto un gran bel lavoro. Ora quella cosa è sospesa, così come sarà sospesa la produzione di questo movie appena finite le riprese. Dopo il set mi rimetto completamente nel mio ruolo di direttore, il movie lo finirò a Competition ultimato”.

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