Filippo Contri: “L’omofobia è ignoranza e si combatte anche con la leggerezza”

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È appena arrivato in sala Amici per caso: Omero (Filippo Tirabassi) ragazzo posato e colto, appena lasciato dal compagno, è costretto a cercare un coinquilino per condividere l’affitto. Si presenta Pietro (Filippo Contri), ragazzo grossolano e sfegatato tifoso romanista, messo alla porta dalla fidanzata stanca di venire dopo il calcio. Ne nasce una commedia degli equivoci in cui il regista e sceneggiatore Max Nardari, al quarto movie, si diverte a giocare sugli stereotipi degli amori sia etero che omosessuali. E soprattutto affronta il tema: può nascere l’amicizia tra un ragazzo un po’ omofobo e uno homosexual? Filippo Contri, trentenne romano che ha esordito in La svolta e abbiamo imparato advert amare come il figlio di Carlo Verdone in Vita da Carlo (1 e 2) si conferma un attore di talento e professionalità. Lo abbiamo incontrato al Competition Filming Italy Sardegna. Quando gli chiediamo se il movie della sua vita si potrebbe intitolare “Una mamma per amico”, visto il rapporto profondo con la madre che lo ha cresciuto e sostenuto in molte scelte difficili, gli occhioni azzurri si velano di lacrime: “Adesso deve piangere. Sì, certo mia mamma è il mio migliore amico, la mia fan numero uno e la mia finanziatrice, la mia mecenate. Senza di lei non sarei qui”.

Amici per caso: Marina Suma mamma Orietta professional nozze homosexual del figlio

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Che significa per lei Amici per caso?

“Significa innanzitutto il primo movie da protagonista, tornando a mia madre, quel sogno che abbiamo sognato insieme chiedendoci se sarebbe avvenuto. Un movie che in qualche modo sento di portare sulle spalle, a cui ho dato tutto quello che potevo. Un’esperienza che non dimenticherò”.

Omero, l’altro amico, è omosessuale.

“Sì, e il mio Pietro un omofobo ignorante. Ha delle idee e un sacco di abitudini, molte delle quali non sono sane, ereditate per tradizione, per storia. Ma di quelle cattive abitudini si libera durante la storia, trovandone altre buone. Rafforzando il concetto dell’amore, dell’amicizia. Perché questo movie celebra l’importanza dell’amicizia”.

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Luca Carlino/NurPhoto 

Come ha affrontato il personaggio?

“È complicato, questo personaggio per me comportava la responsabilità di rappresentare un cliché e la difficoltà di doverlo fare in una maniera non così stereotipata. Di metterci del proprio senza creare una caricatura, una macchietta. Invece di concentrarsi sul giudizio, lavorare sulla sua ignoranza e farne qualcosa di divertente. Questo è stato il mio gioco nella costruzione di Pietro. E poi cercando di non esagerare nel politicamente corretto o scorretto, muoversi nella sceneggiatura aggiungendo qualcosa di personale che lo rendesse credibile”.

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Si è ispirato advert amici d’infanzia, compagni di scuola?
“Sì, ho pensato a persone che hanno dei modi di fare ereditati dal padre, dal nonno, dall’amico, che di primo acchito dicono la parola sbagliata e tu li pensi omofobi ma se ci passi una giornata capisci che in realtà non lo sono. Non giustifico questo modo di parlare, ma ci sono persone che non capiscono il valore delle parole. Pietro è uno di quelli che è cresciuto così, che ti dicono quella battuta che spesso fa ridere e volte è sbagliata, stupida, ingiusta, con una superficialità inconsapevole”.

C’è una battaglia in corso per i diritti civili in cui il linguaggio è importante. Una commedia serve a fare arrivare il concetto?
“Sì, perché si parte con l’assenza di giudizio, stare allo scherzo, trattare l’argomento con leggerezza, per far capire che certi comportamenti sono sbagliati senza avere un tono di superiorità che allontana invece che convincere”.

C’è stato qualche movie, qualche commedia, che ha avuto presente mentre preparava il movie?
“Le commedie che mettono in scena due persone clamorosamente various, lontane. Penso a un movie come Quasi amici. Due opposti che si ritrovano a camminare insieme per un tratto della vita e scoprono l’altro e sé stessi”.

La sua traiettoria verso il cinema non è stata dritta ed è stata accompagnata da momenti difficili. Ma a un certo punto ha lasciato l’università per seguire il suo istinto.
“È stato il cambiamento che mi ha reso la vita un gioiello rispetto a ieri. Sono fortunato, sono felice di aver avuto la forza di farlo, mi sono sacrificato, ho sentito il peso della responsabilità, mi sono messo in gioco e oggi sono contento. Il sogno del cinema c’period fin da piccolo. Ma non vengo da una famiglia di artisti, se tornassi indietro forse riuscirei a trovare qualche nonno che scriveva poesie o dipingeva. Tutto qui. Mi piacerebbe che un giorno figli e nipoti potessero dire “sono figlio d’arte”, mi piangerebbe il cuore di gioia”.

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