Macerata Opera Pageant, tutto esaurito per la magia verticale della Turandot e il bel canto della Norma

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Due opere, un concertone. Tre sold-out. Accoglienza senza contrasti, qualità artistica importante. Bell’avvio per il 60esimo Macerata Opera Pageant. Festa doppia allo Sferisterio. Di compleanno e per l’esordio maceratese del neo-direttore artistico Paolo Gavazzeni. Un quantity celebrativo, col titolo rubato dal frontespizio del monumento “Advert ornamento della città, a diletto pubblico”, ha ricordato per scritti e date la lunga vicenda del competition. Terzo in Italia per longevità tra quelli all’aperto: secondo, dopo Verona, per anno d’esordio. Il cartellone rispecchia velleità e storia. Abbina produzioni storiche come ‘sessantottina’ Bohème Muscato/Parolini/Aymonino e nuovi allestimenti.
Fin troppo tradizionale, l’omaggio ineludibile al centenario pucciniano con Turandot; più carica di allusività e smarcata da riferimenti naturalistici e posture melodrammatiche di routine la successiva Norma (titolo che avrebbe dovuto inaugurare la prima stagione maceratase nel 1921).

L’incredibile scenografia della Turandot
Certo, in uno spazio come lo Sferisterio, sviluppato tutto-e-solo in larghezza, si deve comunque lavorare di scenografia (o rinunciarvi, quasi, are available Norma). Ingombrandolo ‘tutto’, illusionisticamente con due elementi forti che sembrano stendersi ai lati. È quanto ha fatto Paco Azorin, regista e scenografo, spaccando e allungando la prospettiva in orizzontale. Sotto, campi di riso dove il popolo cinese piange, lavora, si ammala, viene schiavizzato e derubato ma al momento (sotto la minaccia di robuste e implacabili amazzoni) esulta a comando. Festeggia l’imperatore e la sua crudele principessa. Sopra, su alti praticabili palazzi smaltati a corallo, i nobili, il potere e la repressione. Al centro una scalinata-passerella fa comunicare i due mondi sospesi e lontani. Con story distribuzione essenziale la narrazione è limpida. L’immaginazione segue i riferimenti esotici meno finti che in altri allestimenti. Del resto, l’ornamentazione esotica la musica di Puccini la esige ma non estingue la profondità del capolavoro incompiuto. I personaggi, sono portati a esprimersi come ci si aspetta: fiabeschi e succubi di una sorta di rituale drammatico inarrestabile.

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Macerata competition 2024, La Turandot (credit: Luna Simoncini) 

Più che la regia ci pensano i tempi direttoriali di Francesco Ivan Ciampa a richiamare l’attenzione sulle finezze recondite della partitura. Che, anche quando pare solo un arredo sonoro sontuoso e armonicamente sofisticato, ha lati oscuri, lacerazione e mollezze liberty insinuanti. La concertazione indugiante scelta da Ciampa traccia una drammaturgia originale: parte dalle pause e dai silenzi per trovare un respiro narrativo stringente. L’esecuzione semifilologica – si spengono le luci sull’esalare dell’ottavino dopo la morte-poesia di Liù – viene sciaguratamente sciupata dalla ripresa, a mo’ di sipario sonoro ottimistico, della frase trionfante del coro. Solida la protagonista Olga Maslova. Apprezzata dal pubblico, quanto Ruth Iniesta (Liù) e Angelo Villari (Calaf). Bravi Lodovico Filippo Ravizza, Paolo Antognetti e Francesco Pittari, e il coro.

Il minimalismo della Norma

D’altra impostazione è il progetto di Norma. Lì il tracciato firmato da Maria Mauti, Garcés-Seta-Bonet Arquitectes e Nicoletta Ceccolini giustifica il minimalismo scenografico e la rastremazione quasi coreografica dei gesti individuali – indizi di turbamenti drammatici e affettivi più che esternazioni di passione – con l’immedesimazione nella lettura rigorosamente belcantistica impressa dal direttore Fabrizio Carminati. Ciò che non riempie l’occhio, deviato e attratto dalle citazioni teatrali e dai movimenti rari di quattro ossuti e metallici elementi scenici (pulpiti, scalette, vaghe gabbie, monumenti funebri), lo fa l’ascolto. In palcoscenico convergono due voci di soprano: gli abbracci-scontri belcantistici tra Norma e Adalgisa diventano un tumulto di bellurie e intarsi vocali sulle parole.

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Macerata competition 2024, La Norma (credit Luna Simoncini) 

Ma sono un racconto reale: traboccano tenerezze e tragedie, e insieme le astraggono. Tornito ma rapido nell’affondo drammatico – così are available orchestra la delicatezza e la luminosità dei colori non esclude accensioni ritmiche e sonorità belliche avvincenti – il canto magnifica la bravura e perizia stilistica di Marta Torbidoni e Roberta Mantegna, duo musicalmente e emozionalmente da brivido. Debuttavano nel ruolo, entrambe. Difficile, ma ce la fa il tenore Antonio Poli, a tener loro testa. Ottima la prestazione di coro di Martino Faggiani, buona nel complesso la distribuzione con Riccardo Fassi (applauditissimo, anche intempestivamente, dopo la morte di Liù, in Turandot), Carlotta Vichi e Paolo Antognetti.

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Macerata competition 2024, La Norma (credit Luna Simoncini) 

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