Adolescenti con i superpoteri, quando la serie television è terapeutica

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Il vecchio adagio di Spiderman “da un grande potere derivano grandi responsabilità” si declina nella nuova serialità che ha per protagonisti gli adolescenti con i superpoteri in una nuova system che prevede “da un grande potere derivano grandi rogne”. Che siano adolescenti invisibili, dalle mani di fuoco, che possono resuscitare i morti o cambiare aspetto, che abbiano una forza sovraumana capace di spostare gli oggetti più pesanti o siano capaci di rimpicciolirsi, gli adolescenti supereroi devono trovare un modo per convivere con questa nuova identità con grosse difficoltà.


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“Sono storie che spesso nascono nei fumetti prima di diventare movie o serie television e traslate in questi linguaggi diventano più didascaliche. Il bisogno principale che sembra affermarsi oggi è la necessità di sentirsi rappresentati – spiega Alessia Romanazzi psicoterapeuta, che tiene con la sorella Giorgia il podcast Tvtherapy, e che utilizza le serie television come strumento di analisi nella psicoterapia di gruppo – I ragazzi poi, a differenza dei bambini, hanno bisogno di allontanarsi dall’concept del supereroe che gli è stata raccontata dagli adulti e che magari in un determinato momento hanno visto incarnato proprio nei genitori: infallibili, onnipotenti, finché non lo sono più. A quell’età dover fare i conti con le proprie risorse corrisponde proprio un po’ all’concept che le capacità se utilizzate bene sono dei superpoteri, ma se utilizzate male o nel contesto sbagliato diventano dei limiti”.

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Iman Vellani nella serie television americana “Ms.Marvel” 

Negli ultimi anni i supereroi adolescenti (che siano quelli ereditati dai fumetti come quelli di Gen V o di Miss Marvel o di identità italiana come Noi siamo leggenda e prima ancora Il ragazzo invisibile di Salvatores) si sono fatti nel racconto seriale sempre più problematici. Anche perché spesso sono proprio gli sceneggiatori, oggi adulti, a fare un viaggio all’indietro ripescando le emozioni della propria adolescenza. Un esempio su tutti è quello di Stranger Issues, dove i superpoteri sono di certo frutto di sperimentazioni topsecret, ma l’immaginario di riferimento è quello del mondo anni Ottanta con cui i fratelli Duffer sono cresciuti.

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Brooke Palmer in “Gen V” 

“Gli adulti che si rivedono nelle storie adolescenziali finiscono per fare anche un po’ un bilancio della propria esistenza – spiega la dottoressa – se identifichiamo l’concept del superpotere come metafora per il crescere è facile capire come diventando adulti abbiamo più libertà, più possibilità ma anche molte più responsabilità che pesano sulle spalle con insofferenze e dubbi. Per questo molti giovani adulti entrano in crisi perché si scontrano con un’concept dell’essere “grandi” che non period quella che gli period stata descritta o pronosticata”.

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Tra le ultime arrivate (su Apple television+) è Essere Ben, serie fantascientifica firmata da Barry L. Levy (Prospettive di un delitto, Il potere dei soldi) che ha per protagonista un dodicenne di nome Ben, alle prese con una nuova scuola media (con tutto l’armamentario classico: bulli, cotte e balli scolastici) e una nuova famiglia. Mentre ancora sta cercando di capire il suo posto in questo nuovo mondo, Ben scopre di avere dei superpoteri che lo porteranno a intraprendere un viaggio alla scoperta di sé.

‘Essere Ben’, quando il superpotere è un effetto collaterale dell’adolescenza

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“Essere Ben ha proprio un doppio pubblico: i coetanei del protagonista che si sentono rappresentati nella propria ricerca di identità proprio perché a quell’età non ti senti né carne né pesce, in quello che in psicoterapia si chiama ‘il viaggio dell’eroe’ – cube Romanazzi – e gli adulti perché queste serie parlano agli adolescenti ma ancora di più all’adolescente che è in noi. Spesso gli adulti vedono in questi personaggi i ragazzi che sono stati”.

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La serie su Apple television “Essere Ben” 

E rispetto a serie television che trattano il tema dell’adolescenza con un racconto realistico del genere Skam, Mare fuori o Euphoria, tanto per citare dei titoli di successo, le serie fantasy o di fantascienza hanno degli strumenti diversi. “Il racconto fantastico permette di immergersi e di vivere il disagio senza sentirsi descritti in maniera didascalica – conferma la dottoressa – funzionano come funzionano le fiabe che hanno come protagonisti gli animali o personaggi che sono lontani nel tempo e nello spazio, il famoso ‘c’period una volta’. Questo permette di allontanarsi dalla realtà e quindi quello che viene descritto non sei esattamente tu ma il collegamento si fa attraverso il disagio o le emozioni del personaggio. La distanza permette di vivere le emozioni in maniera più pura, il contesto non è importante ciò che conta è il gancio dell’emotività. La prima serie che ha fatto questo lavoro è stata Buffy, l’ammazzavampiri, anche perché l’horror è un genere che funziona benissimo come strumento di identificazione, è un contatto di pancia. Che ci aiuta anche nella terapia perché quando le serie sono più esplicite i pazienti solitamente si chiudono, mentre se si utilizza il genere la conversazione è più facile. Il fantasy è catartico perché non si pensa di parlare di sé, ma è proprio nella distanza che c’è tra come io vedo un personaggio e come lo vedi tu che noi raccontiamo noi stessi, la nostra storia e le nostre difficoltà. E possiamo lavorarci per stare meglio”.

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