Anouk Aimée, la musa ammaliante che stregò Federico Fellini

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Il volto pallido sormontato dalla massa di capelli scuri perfettamente acconciata, il sorriso ironico, il mistero quieto nello sguardo che l’ha accompagnata in tutta la vita cinematografica. L’ultimo incontro con Anouk Aimée — scomparsa ieri a Parigi a 92 anni, avvolta dall’amore di figlia, nipote e pronipote — period stato nel 2019 a Cannes, per il proustiano I migliori anni della nostra vita. Seguito ideale di Un uomo, una donna di Claude Lelouch, 52 anni dopo il movie musicato da Francis Lai che l’aveva resa famosa nel mondo nel 1966: lui, Jean-Louis Trintignant, ormai senza memoria in una casa di riposo, lei che torna a risvegliarlo. «Quando mi chiama Claude dico sempre sì — ci confessava — È famiglia per me. Sa coinvolgerti nelle emozioni, il suo cinema è vita». Ai tempi del debutto «più che le 15 pagine di sceneggiatura che ci aveva consegnato a convincerci fu il suo appassionato racconto, in casa di Jean-Louis e di sua moglie Nadine, mia amica. Mezzo secolo dopo ci ha riportati nei luoghi del primo struggente capitolo ed è stato emozionante». Come pure, emozionante, lo period stata la notte degli Oscar «tutti in piedi alla cerimonia per un movie che avevamo girato senza soldi: sul set trasportavamo noi l’attrezzatura e mi truccavo da sola».

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Quel premio le aveva aperto le porte di Hollywood, ma per l’attrice il cinema significava Francia, dove period esplosa come la sensuale Lola — Donna di vita di Jacques Demy, e soprattutto Italia. Riassumeva così l’insoddisfazione provata sul set di Justine con George Cukor, 1969: «Io continuavo a parlare di Federico Fellini, lui continuava a parlare di Greta Garbo». Del primo incontro con il maestro riminese che l’avrebbe voluta in La dolce vita — l’ereditiera Maddalena, che Marcello Mastroianni insegue, sempre più lontana, nella villa aristocratica — Aimée raccontava a Repubblica: «Il primo incontro con Federico fu indimenticabile: nel suo ufficio mi guardava in un modo così intenso come solo Picasso, prima. Ero totalmente sedotta». Tre anni dopo, 8 e 1/2, la trasforma moglie paziente di un Mastroianni: «Aveva per me mille vezzeggiativi, da Anukkina a Cipressina mia». Il regista la spinge a conoscere la moglie Giulietta Masina, «lei viene sul set, vede la scena dell’harem, mi guarda: “Ma questa sono io, tu sei me”. Scoppiamo a ridere. A Federico devo tutto, e tutto period naturale con lui, avrei interpretato anche un clown».

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(reuters)

Tra i tanti movie italiani, con Vittorio De Sica Il diluvio universale e con Alberto Lattuada L’imprevisto. Marco Bellocchio, nel 1980, l’affianca al “fratello” Michel Piccoli e consegna a entrambi il Prix da migliori attori a Cannes: «Marco è stato uno dei registi che ho amato di più», confessava, e incontrandolo qualche anno fa gli avevo scherzosamente proposto di lavorare ancora insieme. L’autore, oggi, ricorda che «aveva una bellezza che ammaliava, sul set scherzavamo sull’ossessione per la pettinatura perfetta. Mi piaceva la sua modernità, la capacità di ribaltare l’archetipo femminile italiano di una certa epoca. L’anno dopo period uscito La tragedia di un uomo ridicolo, period la moglie di Ugo Tognazzi per Bernardo Bertolucci. Tra gli ultimi movie girati nel nostro Paese Il generale dell’armata morta di Luciano Tovoli, 1983, con Mastroianni e Piccoli.

Anouk Aimée ricorda Fellini: “Così Federico mi scelse per La dolce vita”

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Anouk Aimée, 70 movie e quattro mariti, period nata Francoise Judith Dreyfus a Parigi nel 1932. Il cognome discende dal capitano Alfred del J’accuse di Zola. Il padre attore lo aveva cambiato in Henry Murray, la madre period l’attrice Geneviève Sorya. Ma l’incontro che l’inizia al cinema è per strada, come succedeva un tempo, a 13 anni. Il regista Henri Calef la nota mentre lei va al cinema con la madre. Nel primo ruolo in Tragico incontro fa suo il nome del personaggio, Anouk, e su suggerimento di Jaques Prévert assume il cognome Aimée, “amata”. Nel 1949 adatterà a lei, 15enne, il ruolo ispirato a Giulietta del movie Gli amanti di Verona. Intanto, dal 1940 al 1944, la famiglia Dreyfus trasloca, si sposta, si nasconde in casa di amici, fino alla Liberazione. Degli anni vissuti nella Parigi occupata parlerà solo nel 2003 dopo aver girato La petite prairie aux bouleaux di Marceline Loridan, in cui interpreta una donna ebrea tornata da Auschwitz.

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