In streaming su MYmovies l’affascinante cinema di Ryusuke Hamaguchi, uno dei talenti più cristallini del cinema contemporaneo

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Tutti ne parlano, tutti lo vogliono, almeno nel piccolo mondo antico dei cinefili odierni. È così dal 2021 per Ryusuke Hamaguchi, regista che ha attirato molte (e tardive?) attenzioni, avendo girato due tra i migliori movie di quell’anno, Il gioco del destino e della fantasia e Drive My Automotive.

La piattaforma streaming MYmovies ONE propone i grandi movie del regista giapponese, che ai due titoli succitati aggiunge anche il suo ultimo affascinante lavoro, Il male non esiste (disponibile da martedì 4 giugno), i precedenti Joyful Hour e Asako I & II (disponibile da luglio) e il suo primo lavoro Ardour (da dicembre) per conoscere meglio uno dei maggiori talenti del cinema contemporaneo.

Parlare di Il male non esisteGran Premio della Giuria all’ultima Mostra di Venezia e on-line su MYmovies ONE da martedì 4 giugno – come di un movie che contrappone la salvaguardia dell’ambiente alla deriva del capitalismo contemporaneo è riduttivo.

Nello scontro tra un’imprenditoria ignorante e avida e la saggezza dei residenti locali di un’oasi naturale si ripropongono temi ricorrenti del cinema di Hamaguchi, mai come qui canonizzati a livello di confronto filosofico.

In gioco c’è un’concept differente di approccio alla vita e di consapevolezza dell’uomo come specie, che arriva fino alla negazione di sé, come illustra l’enigmatico e sconvolgente epilogo. La forza di Hamaguchi sta nella capacità di dimostrare empatia per qualunque personaggio: non ci sono eroi e villain, solo esseri umani, che rispondono diversamente alle avversità del destino.

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Il male non esiste è una sinfonia visiva e sonora tutta da interpretare. 

L’apparenza “ludica” e la semplicità della messa in scena hanno portato alcuni, di fronte a Il gioco del destino e della fantasiaOrso d’argento alla Berlinale – a evocare i nomi di Alain Resnais, per l’astrazione metanarrativa di Smoking/No Smoking, e Hong Sang-soo, celebre per girare movie con variazioni apparentemente minime tra loro. Ma di fatto il “gioco” di Hamaguchi rivela tutt’altra natura. Specie nell’ultimo dei tre episodi, in cui lo scambio di identità si trasforma in opportunità di uscire dalla gabbia della propria e di stabilire un rapporto di reale amicizia.

Dimenticarsi per conoscersi meglio, conoscersi per provare a comprendere gli altri. Vale la pena di soffermarsi sui dettagli apparentemente più insignificanti – advert esempio, quando e perché si aprono e si chiudono le porte di stanze o autobus in Il gioco del destino e della fantasia? – per cogliere la stratificazione del lavoro di Hamaguchi e come l’asciuttezza dei dialoghi possa nascondere profonde riflessioni sulla natura umana.

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Il gioco del destino e della fantasia racconta tre storie guidate dalla fatalità, tre modi differenti di scavare nei traumi del presente attraverso situazioni esemplari. 

Forse il titolo più famoso di Hamaguchi, Drive My Automotive è il frutto di un esemplare lavoro di sintesi: il regista traspone un racconto di Haruki Murakami ma lo arricchisce di elementi di altre storie dell’autore (tra cui “Scheherazade”, nella stessa raccolta “Uomini senza donne”). Fino a raggiungere un esito che aderisce come un guanto alla poetica e ai temi cari al regista giapponese.

Per comprendere gli altri e provare a interpretare la realtà, non potendo leggere nel cuore altrui, occorre scrutare meglio nel proprio. “Conosci te stesso”, come ammoniva l’iscrizione del tempio di Delfi. Per scoprire, magari, quel che non si vorrebbe sapere. Un tema che ritroviamo, esplicitato, nelle tre ore abbondanti di Drive My Automotive.

Il protagonista, Kafuku, vedovo di Oto, una moglie adultera ma amata fino all’ultimo istante, utilizza il mestiere di attore per calarsi nei panni altrui e vivere altre vite, soffrire meno ed esperire di più. La voce di Oto sopravvivrà alla dipartita sotto forma di audiocassette, che Kafuku ascolta in continuazione, rifiutando inconsciamente la piega presa dagli eventi.

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Premiato a Cannes e Oscar come Miglior Movie Straniero, Drive My Automotive è un movie sull’elaborazione di una perdita e su tardive epifanie, guidate dagli intrecci imperscrutabili del Fato. 

La durata di Joyful Hour del 2015, 317 minuti, potrebbe scoraggiare i meno temerari. Ma a costo di una fruizione segmentata, avvicinarsi al movie che ha rivelato all’Occidente il talento di Hamaguchi è un’esperienza irrinunciabile. Magari dopo aver visto le opere del 2021, per riscontrarvi già in nuce le medesime ossessioni – la recitazione e la liberazione del corpo come chiave interpretativa, il rovescio della medaglia di quelle che chiamiamo coincidenze – calate qui in un affresco corale.

Protagoniste di Joyful Hour sono infatti quattro donne di fronte a un crocevia esistenziale: ne osserviamo il travagliato privato, fatto di affetti che scoloriscono e rivelazioni inaspettate, le accompagniamo attraverso un percorso tortuoso e privo di facili verità.

Un racconto che suggerisce silenziosamente un approccio innovativo alle ragioni del femminismo, senza mai gridarlo o renderlo esplicito. Un lavoro di sottrazione del superfluo, da cui uscire arricchiti e consapevoli.

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Le quattro protagoniste di Joyful Hour sono state premiate con il Pardo d’oro per l’interpretazione a Locarno. 

Infine, disponibile da luglio, Asako I & II. Poco compreso alla prima visione a Cannes 2018 e cartina di tornasole per comprendere appieno il cinema di Hamaguchi, è un oggetto di difficile identificazione.

Racconto di un romance tra una ragazza e un ragazzo vanesio, a cui si sostituisce nella seconda parte un sosia uguale (nell’aspetto) ma opposto (nella personalità). Servendosi di connotazioni fenotipiche della contemporaneità, incluse le derivazioni più pop, Hamaguchi costruisce una struttura di racconto in cui il doloroso processo di introspezione transita attraverso la proiezione di un oggetto idealizzato e la sostituzione, o l’intercambiabilità, di corpi e volti.

In sintesi, per comprendere gli altri e provare a interpretare la realtà, non potendo leggere nel cuore altrui, occorre scrutare meglio nel proprio. Gnosis auton, conosci te stesso, come ammoniva l’iscrizione del tempio di Delfi. Per scoprire, magari, quel che non si vorrebbe sapere.

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