Michela De Rossi è la ribelle Filomena in ‘Briganti’: “Ho tagliato i capelli per lei: una donna in fuga dallo stereotipo femminile con lo sguardo da corvo”

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Filomena Pennacchio è stata una brigantessa italiana. Figlia di un macellaio, orfana della mamma a quattro anni, andò a servizio giovanissima. Sposata a un impiegato di cancelleria del tribunale di Foggia, violento e geloso, si ribellò all’ennesimo sopruso uccidendo il marito con uno spillone d’argento. Fuggì nel bosco per evitare di essere catturata e si unì al brigantaggio. A lei, a quegli uomini e a quelle donne che nell’Italia postunitaria mescolarono interessi privati con interessi di popolo, ribellandosi alle autorità sabaude, che si scontrarono attraverso le various bande è liberamente ispirato Briganti, la serie firmata da Grams, un collettivo di cinque giovani autori Antonio LeFosse, Re Salvador, Eleonora Trucchi, Marco Raspanti e Giacomo Mazzariol. Una serie corale che ha però in Filomena la sua protagonista, in un viaggio di autodeterminazione che si intreccia con una caccia al tesoro dell’oro del Sud, l’oro di Garibaldi. La interpreta Michela De Rossi, romana, 31 anni, che negli ultimi cinque anni ha spaziato dal movie d’esordio dei D’Innocenzo al sequel dei Sopranos, dai Topi di Albanese a una serie queer australiana.

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Per creare Filomena, da dove è partita e che percorso ha fatto?

“È stato un ‘viaggione’ come si cube a Roma. Il personaggio è piombato un po’ a sorpresa, perché la selezione è stata veloce. Filomena è sicuramente la sfida più grande che mi sono presa fino a oggi, ho letto diversi libri su di lei, alcuni più romanzati, altri più storici. Ho approfondito la storia d’amore tra Filomena Pennacchio e Schiavone, sulla quale sono stati versati fiumi di inchiostro, ho letto anche libri per inquadrare la figura femminile di quell’epoca e attraverso molti documentari ho approfondito il tema del brigantaggio di cui a scuola non si parla. Consapevole che il nostro period un viaggio che partiva dal personaggio storico per andare oltre”.

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Come si è preparata?

“Mi è stato molto utile quello che mi ha detto uno dei tre registi, Nicola Sorcinelli, che mi ha proposto una sfida. Siccome io lavoro partendo più dal corpo che dalla pagina scritta mi ha chiesto di mettere il baricentro del personaggio negli occhi e quindi facciamo in modo che lei agisca e si muova principalmente con lo sguardo, come un animale anzi come un uccello… un corvo, una cornacchia. Abbiamo fatto tanti check con la digital camera e abbiamo concluso che funzionava, non so se questo poi si nota vedendo la serie ma io ho cercato di interpretarla in modo che qualsiasi cosa un pensiero o un’azione partisse sempre dai suoi occhi”.

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Parliamo del taglio dei capelli. Filomena tagliandosi i capelli recide il legame con il suo passato, li ha dovuti tagliare per davvero?

“Sì assolutamente. Intanto perché non è semplice recitare con le parrucche sia per i tempi di preparazione (io sono stata sul set settanta giorni su novanta) che per il set, con tutta quell’azione, quella polvere, quella sporcizia avrebbe reso complicato utilizzare una parrucca. Inoltre lei è un personaggio animalesco, mi trovavo spesso con le mani fra i capelli. Filomena resolve di tagliarsi i capelli anche per mandare un messaggio: ‘Smettete di guardarmi come femmina, cominciate a pensarmi come essere umano pensante’. Con quel gesto si stacca dallo stereotipo femminile, da quell’immaginario”.

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A proposito di immaginario femminile ha girato una serie television femminista australiana, ‘Whereas the lads are away’.

“È una serie queer. È stato difficilissimo, ho saputo il 28 dicembre che avevo vinto il ruolo da protagonista e il 6 gennaio sono partita. Ho avuto tanta paura poi il mio agente mi ha messo sull’aereo, mi ha portato in Australia lui stesso perché io sono terrorizzata dall’aereo e dovevo affrontare un viaggio di 26 ore. Non ho avuto tempo di prepararmi, nulla. Ho saputo di essere stata presa, dieci giorni dopo ero a Sydney. Ero dall’altra parte del mondo, con un accento difficilissimo come quello australiano, però è stata un’esperienza fantastica”.

Solo ricordi positivi, non c’è niente che è andato storto?

“Beh gli animali. Io che ho paura da morire degli insetti da quando sono tornata l’Italia mi fa ridere. Io lì ho visto cose che voi umani… nove animali mortali su dodici sono in Australia, c’è un ragno a Sydney che si chiama crimson again spider, lo puoi trovare ovunque dalla fermata del bus al rubinetto di casa e se ti punge sei morto se non hai l’antidoto. Lo sanno anche i bambini, sono tutti istruiti… poi tutto è gigante, lì ho avuto la sensazione forte che la natura può distruggerci tutti”.

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Ha lavorato negli Stati Uniti, in Italia, ora in Australia. Grandi differenze?

“Tutto dipende dalla produzione. Ti può capitare di lavorare meglio in Italia e poi meglio negli Usa però ci sono delle regole di lavoro differenti. Per esempio in Australia tutta la lavorazione è molto lenta, ci sono tantissime pause, allo scoccare dell’ultima ora di lavoro tutti lasciano quello che hanno in mano e vanno a casa. In Australia devi stare attenta a tutto quello che dici, il primo giorno ci siamo seduti alla lettura e ognuno ha dichiarato i propri pronomi, io allora non sapevo bene neanche a cosa si riferissero, ogni cosa che dici può essere usato contro di te (trip), come parli ai colleghi, come ti relazioni, le parole che usi… c’è un’attenzione maniacale e giustissima poi ovviamente quello period un progetto queer per cui c’period un’attenzione speciale però lavorando su quel set ho imparato cosa significa portare sempre il rispetto sul set”.

In sala ‘La terra dell’abbastanza’. Il debutto dei fratelli D’Innocenzo

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In questi anni ha lavorato in ambiti diversissimi: l’esordio con i fratelli D’Innocenzo, I molti santi del New Jersey, ha girato con Albanese, con Lillo, ha fatto la fiction.

“Ho appena finito poi un progetto di cui non posso dire assolutamente nulla perché non è stato ancora annunciato, che è qualcosa di ancora totalmente diverso. Io inseguo la varietà più assoluta, mi reputo una che sta andando piano ma sono contenta di questo. Cerco di misurarmi con progetti molto diversi perché mi piace essere camaleontica e combatto con la tendenza che c’è di etichettare gli attori. È un’arma a doppio taglio perché spesso non mi riconoscono, non mi identificano, poi magari dico che ho fatto un movie o una serie, e la gente mi cube ‘ah ma eri tu!’. Ma va bene così perché è questa la direzione nella quale voglio andare. E poi con chiunque abbia lavorato da James Gandolfini a Antonio Albanese ho imparato qualcosa”.

Quando ha capito che questo period il mestiere che voleva fare?

“A diciott’anni, dopo la maturità, ho fatto i provini in quasi tutte le Accademie d’Italia: la Silvio D’Amico di Roma, il Piccolo di Milano, Genova, Torino e la prima che mi ha preso sono entrata, ho fatto tre anni, mi sono diplomata all’Accademia internazionale d’arte drammatica del Teatro Quirino e poi sono finita a fare l’audiovisivo. Io che credevo di fare soltanto il teatro. Non è facile fare entrambe le cose, ma conto di tornare presto al teatro”.

A questo punto del percorso di attrice dove si sente e dove vorrebbe andare?

“Mi sento in un punto critico, sento di essere in un momento di svolta, so che devo essere paziente e devo stare calma. Mi sento per la prima volta di giocare in serie A, ne sono felicissima e grata ma è la serie A. Io sono sconvolta da quanti colleghi bravi ho, la mia generazione, il gruppo di attori tra i trent’anni e i 35 tra uomini e donne, ha un numero molto alto di persone di talento. Mi capita di non vincere un provino e dirmi ‘beh certo lei è bravissima’. Sono felice di competere con artisti che stimo, la competizione è alta, quindi sono contenta ma viverla è tosta”.

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