‘Fallout’, arriva la serie. Il regista Jonathan Nolan: “Sono cresciuto con Sergio Leone, ora racconto l’apocalisse”

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“I Vault non erano altro che buchi sotto terra dove i ricchi potevano nascondersi mentre tutto il resto del mondo bruciava”.

Fallout, su Prime Video dall’11 aprile, è la serie television tratta da uno dei più grandi franchise di videogiochi di tutti i tempi, creato nel 1997. Ambientata 200 anni dopo un’apocalisse nucleare, la serie ha per protagonisti gli abitanti dei lussuosi rifugi antiatomici (i Vault) costretti a tornare nell’infernale paesaggio contaminato dalle radiazioni che i loro antenati si sono lasciati alle spalle. Protagonista è la giovane, ingenua ma incredibilmente tenace Lucy che dovrà farsi strada in un mondo dove non esistono più regole morali.

Il legame tra videogame e serie television

La serie in 8 episodi vede Jonathan Nolan (fratello del premio Oscar Christopher Nolan con cui ha firmato molti movie da sceneggiatore e creatore di Westworld) come produttore esecutivo insieme alla moglie Lisa Pleasure e regista dei primi 3 episodi. Il solid della serie embody Ella Purnell (Yellowjackets), Walton Goggins (The Hateful Eight), Aaron Moten (Emancipation – Oltre la libertà). Lo showrunner Graham Wagner spiega il profondo legame tra videogame e serie television: “Grazie alla tecnologia attuale il legame è molto forte. Bob Hoskins ha realizzato un movie di Tremendous Mario Bros negli anni Novanta e di certo non c’period la tecnologia adeguata per fare un regno dei funghi magici, oggi tutto questo è molto più accessibile. Questo present period un progetto molto costoso, se fosse stato semplicemente il frutto di una mia concept scritta su un tovagliolo e portato ai produttori mi avrebbero chiesto ‘come mai potremo finanziarlo?’ Invece il fatto che ci siano nel mondo più di 50 milioni di fan di questa storia ha convinto la piattaforma a produrre questa serie”.

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Le sfide di Lucy

Il viaggio di Lucy, costretta a lasciare il rifugio sotterraneo dove è nata e cresciuta per cercare suo padre rapito da un commando del mondo esterno, è fatto di tappe e di incontri dove tutti cercano di ucciderla. “Quello che mi piace in Lucy è la sua capacità di resilienza – ci ha spiegato Ella Purnell – è un personaggio complesso: sì è vero è ingenua, innocente, è cresciuta in un rifugio sottoterra, un posto che più chiuso e protetto non potrebbe essere ma grazie al suo inguaribile ottimismo riesce advert affrontare tutte le sfide. Si troverà di fronte alla scelta se abbandonare le sue regole morali nel posto dove va o conservarle nonostante tutte le avversità che incontra”.

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La guerra interiore di Maximus

Nel suo girovagare incontra il soldato Maximus, un ragazzo cresciuto nelle terre abbandonate che ha abbracciato la Brotherhood of Metal come forma di sopravvivenza. La confraternita d’acciaio è una sorta di milizia, un’organizzazione tecno-religiosa, che affonda le proprie radici nell’ex esercito Americano. “Maximus è nato e cresciuto in questa terra abbandonata – ci ha raccontato Aaron Moten – Ho costruito il personaggio rispondendo a questa domanda: come diventa una persona e come sono i suoi pensieri se tutta la sua esistenza è stata contraddistinta solo dalla severità, dalla durezza? Ricordo che con Jonathan fin dall’inizio delle riprese avevamo questa immagine in mente: nel Giulio Cesare di Shakespeare il personaggio di Cassio viene descritto come un cane affamato e Maximus è un po’ così. C’è l’concept di questa tensione e desiderio per qualcosa che lo porta a una guerra interiore: prendere una decisione nobile o scegliere una strada per la gloria. L’incontro con Lucy cambia le cose e lo porta a interrogarsi su come possono aiutarsi l’un l’altro”.

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Le trasformazioni del Ghoul

Altro incontro fondamentale e pericolosissimo sarà quello con il personaggio interpretato da Walton Goggins, l’ex cowboy Cooper Howard padre di famiglia e marito affettuoso, morto duecento anni prima e riportato in vita, cacciatore di taglie e mutante con il nome di Ghoul. “È lo stesso personaggio in due momenti molto diversi della sua vita. D’altronde anche io quando mi sono trasferito a Los Angeles a 19 anni per iniziare questo mestiere ero una persona totalmente diversa rispetto a oggi che ho 52 anni – spiega Goggins – anche il Ghoul è così: qualcosa di drammatico è avvenuto e lui 200 anni dopo ritorna totalmente trasformato ma è sempre lui, soprattutto con lo stesso senso dell’umorismo. In qualche modo i due si parlano, anche a colpi di parolacce”.

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L’intervista a Jonathan Nolan

L’incontro per la presentazione della serie si conclude con l’intervista al regista e produttore esecutivo Jonathan Nolan.

La serie deve funzionare per i giocatori ma anche per chi non ha mai giocato neppure una volta. Come avete fatto?

“Tutto stava nell’azzeccare il tono. Fin da quando ho iniziato a giocare a Fallout molti, molti anni fa mi ha conquistato il fatto che mettesse insieme mistero, thriller, violenza con umorismo nero e un ragionamento politico. Questo è quello che mi è piaciuto moltissimo del gioco e che ho cercato di mettere nella serie”.

La commedia ha un ruolo grande nella serie nonostante ci sia violenza, anche splatter, e molte situazioni drammatiche

“Sicuramente l’apporto di Graham Wagner, che viene da quel mondo, ha aiutato. Anche nelle sceneggiature che ho firmato con mio fratello Chris (Memento, Interstellar, The darkish knight, ndr.) eravamo alla ricerca di momenti di leggerezza anche se si trattava di movie drammatici, questa però è la prima sceneggiatura nella quale mi misuro con l’umorismo e mi sono divertito a giocare con la commedia”.

Quali sono i punti di collegamento tra questa serie e l’altra che ha firmato Westworld?

“Sono un grande appassionato di western, sono cresciuto con il mito di Sergio Leone, da ragazzino non facevo che vedere movie western, posso dire tranquillamente che quella è stata la mia formazione audiovisiva. Nei western c’è sempre questo tema della civilizzazione che va affermandosi, che trova uno spazio nel caos, ultima occasione di autodeterminazione. Mentre Fallout, e in qualche misura anche Westworld, racconta di un mondo in cui la civiltà ce la siamo giocata. Un mondo spaventoso dove ogni personaggio deve trovare un modo per sopravvivere e per farlo deve venire a patti con la sua coscienza. Sono storie di natura esistenziale che rispondono alla domanda: cosa sarei se non ci fossero regole?”

Com’è raccontare una storia ambientata in uno situation postatomico mentre la situazione internazionale è story per cui quello situation è una minaccia reale?

“Per quanto la serie sia spaventosa, il mondo oggi lo è di più. Abbiamo iniziato a sviluppare la serie molti anni fa, prima della pandemia e quando è arrivato il 2019 ci sembrava che la storia fosse quasi retro. Purtroppo invece quello che è accaduto ogni anno che è passato mentre lo stavamo preparando ha fatto sì che la storia diventasse più rilevante, più attuale. Adesso vorremmo lo fosse meno, onestamente, vorremmo che il mondo rallentasse da quel punto di vista. Sicuramente quello che stiamo vivendo ora è un momento molto spaventoso, ma quello che ci è piaciuto del progetto è potersi interrogare su questioni esistenziali come queste attraverso l’umorismo nero”.

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