Nessuno come lui. Denis Villeneuve lo ha detto forte e chiaro e dopo aver visto Dune – Parte Due (che ha esordito con un field workplace ottimo già arrivato a 679.551 euro nel primo giorno di programmazione), non possiamo che trovarci d’accordo. Nessun altro attore avrebbe potuto interpretare Paul Atreides, il ‘Messia’ di Dune. In questo capitolo secondo – persino superiore al primo da molti punti di vista – Timothée Chalamet mette in campo con naturalezza tutte le sue sfumature di linguaggio espressivo, in un viaggio – anche ambiguo – da ragazzo catapultato in uno scontro epocale, al giovane che scopre l’amore e fermento politico, a messia riluttante.
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Il fisico androgino, i tratti infantili e lo sguardo adulto, charme da attore d’altri tempi, Chalamet trova in Dune quel carisma che aveva un po’ accantonato – forse volutamente – in Wonka. Intorno al talento si è costruita un’adorazione trans generazionale, le adolescenti e le loro mamme, non solo: James Ivory si presentò addirittura alla cerimonia degli Oscar per Chiamami col tuo nome con una camicia che ritraeva Chalamet. Incontriamo Chalamet su Zoom.
“Il mondo di Dune parla di noi”
di Arianna Finos
Crede nel destino?
“Sì e no. Credo nel trovare il proprio scopo, la missione nella vita, è diventare chi sei ma anche cosa sei dentro la tua famiglia, nel rapporto con gli amici. Ma ovviamente, nel momento in cui nasciamo, c’è una linea in gioco che va oltre i nostri poteri che ci mette dove siamo”.
Qual è il momento più grande o più ambizioso delle riprese di questo movie per lei?
“Girare la cavalcata del Verme della sabbia. Period un’impresa tecnologica, ma è stata realizzata praticamente. E avevano un’unità ‘verme’ un’unità video separata dall’unità principale, ci sono voluti quattro mesi per girare una sequenza di due minuti, con una lista di riprese straordinariamente complessa. È il momento in cui Paul diventa un adulto e viene accettato, veramente un rito di passaggio e uno dei motivi principali per cui Paul viene accolto tra i Fremen”,
Avete dovuto imparare il linguaggio Chakobsa, la lingua Fremen…
“La lingua è stata creata appositamente per il movie, il nostro ‘dialect coach’, Fabien Enjalric, è stato molto rigoroso sulla pronuncia. È stato interessante avere un monologo che non si basa su un linguaggio reale”.
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Il Paul di Dune 2 è lo stesso del primo movie?
“Sicuramente è la stessa persona. Tutti noi dovremmo essere così fortunati – non nel senso della vita di Paul, che è durissima – ma nel senso di avere nella vita la possibilità di evolvere, entrare in molti capitoli diversi, pur restando la stessa persone. Paul non è più la figura fanciullesca che abbiamo visto all’inizio del primo. E’ un giovane uomo che trova il so ruolo tra il popolo Fremen, ne diventa chief, una chiamata di cui non è necessariamente entusiasta, ma alla quale risponde”.
Questo è un racconto ammonitore sul pericolo di credere in un messia, un carattere che Villeneuve ha sottolineato e al quale Frank Herbert teneva molto.
“Sono convinto che il movie sia un ammonimento contro il fanatismo religioso e l’adorazione dei chief o del carisma, cosa che vediamo fin troppo comunemente nel mondo di oggi: è una scelta semplice. Quando pensi a una storia di fantascienza, popolare, ti vengono in mente le determine ovvie dell’eroe e del cattivo, non penseresti necessariamente che ci sia una figura centrale, una sorta di eroe che ha in sé qualcosa di oscuro. Penso che questo movie cammini su quella linea molto attentamente e da vicino. Se saremo fortunati da poter girare il ‘Messia’ di Dune, il terzo movie, penso che questa strada sarà esplorata ancor di più”.
In questo movie è fondamentale la storia d’amore con Chani – Zendaya.
“Nel primo movie avevamo avuto poche scene insieme, ma eravamo diventati amici. Affiancarla è stato un privilegio. Chani è la guida morale di Paul. Il loro amore è la cosa più reale del movie, una storia in cui tutti i ragazzi possono riconoscersi, al centro di questo enorme mondo di costruzione e azione ottomila anni nel futuro”.