Ernesto Assante, i Velvet Underground e la pasta che visse due volte

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Dell’ultimo pomeriggio in cui Ernesto è passato in redazione, poco prima di Sanremo, ricordo con precisione alcune cose: che non indossava le Converse; che come suo solito aveva il sorriso di chi è sempre sull’orlo di combinarne una; che teneva come sempre il pill sottobraccio perché ti può capitare di dover scrivere ovunque e in qualsiasi momento e non sia mai farsi trovare impreparati.

E ricordo anche che andava di corsa, ma “Assante” e “andare di corsa”, sono sinonimi, basta controllare su un qualsiasi vocabolario. Quello che non ricordo bene sono le ultime parole che mi ha detto. Niente, non c’è modo, non le ritrovo. Rivedo la scena: mi si avvicina, il cinque, un abbraccio e poi, come sempre, inizia a sfottermi. Senza remore, ridendo come se quello fosse il momento comico del decennio. Ricordo che mi sono piegato dalle risate anch’io, che sono quasi arrivato alle lacrime; ma non c’è modo di riprendere con precisione quelle parole.

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E allora il cervello, che deve pur ripararsi in qualche modo, va alle prime parole che ho sentito da Ernesto, tre lustri fa, quando lui period già Assante e io avevo già tutte le carte in regola per essere sfottutto senza soluzione di continuità. Luglio, ora di pranzo. “Ciao, sto facendo uno stage in Cultura”. “Che te serve?”. Mi serviva un libro sui Sonic Youth ma period solo una scusa: volevo conoscere Assante e basta. Magari con Castaldo allegato, ma andava bene anche solo Assante. “Ce l’ho, sta lì in basso”, indicando una parete della stanza in cui lui e Gino conservavano una parte dei loro libri, una biblioteca musicale sterminata, la tana del bianconiglio. “Te lo presto, fatti le fotocopie. Però prima andiamo a pranzo. Raccontami chi sei”.

Non ebbi il tempo di farlo anche se l’operazione avrebbe richiesto non più di quattordici secondi. In ascensore inizia a parlare dei Velvet Underground, in fila verso il bar del giornale continua a parlare dei Velvet Underground. Si ferma solo al momento di ordinare la pasta fredda. Mi guarda, sorride e proferisce: “Eccola lì. Ti presento La Pasta che Visse Due Volte”. E poi torna a parlare dei Velvet Underground. Perché, ovviamente, senza i Velvet Underground è inutile leggere i libri sui Sonic Youth. E perché senza il contraltare di un sorriso è inutile fare tutto.

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(ansa)

E poi il cervello va alle telefonate. Quasi sempre di domenica o durante le feste perché negli altri giorni c’è il giornale e il giornale è sacro. “Guagliò, mi fai una lista dei concerti più importanti della storia del rock? Così vedo se mi è sfuggito qualcosa…”. Non gli period sfuggito niente, figuriamoci, ma la chiedeva lo stesso. Oppure: “Una cronologia musicale del 1985”. Oppure: “Dieci dischi usciti nel 1971”. E ti rispondeva con l’emoticon sorridente quando poi lo ringraziavi perché così avevi avuto la scusa per rimettere a tutto quantity Who’s Subsequent.

E lo ringraziavi anche quando nei corridoi del giornale, dopo averti salutato con il pugno sinistro stretto e all’altezza delle spalle, ti faceva ascoltare il suo disco del momento. E lo ringraziavi perché non period possibile che fosse sempre il più aggiornato di tutti. “Aho’, bisogna informarsi sempre sulle cose nuove”, mentre si alzava subito per andare through verso il prossimo disco “preferito”, verso una nuova serie television, verso un nuovo gadget tecnologico. Il cervello, il suo, a stabilire hyperlink di continuo, advert aggiornarsi di continuo.

Forse perché “Assante” è anche sinonimo di “intelligenza giornalistica”, devo controllare sul vocabolario. Poi fermo il cervello, il mio, e metto il vinile di Harvest di Neil Younger, ma non per romanticismo o perché il vinile è il vinile: solo perché quel disco non si trova su Spotify. Così alzo la testa dal monitor su cui da ore sto leggendo tutte le ultime mail che mi ha mandato e magari mi vengono in mente le parole che adesso non trovo: quelle dell’ultima volta in cui Assante mi ha preso in giro. Quelle dell’ultima risata che ci siamo fatti. L’ultima lezione di Ernesto.

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