Dargen D’Amico: “Siamo tutti migranti. A Sanremo navigherò nel mare della musica”

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Ha scritto il pezzo per Sanremo pensando che i primi a emigrare siamo stati noi. Gli risuonavano nelle orecchie i discorsi dei genitori emigrati a Milano dall’isola di Filicudi, ma anche i racconti dei nonni volati in America a cercar fortuna. Anche la sua è stata una famiglia all’avventura per necessità: «A parte la mia nonna materna, sono tutti andati negli Stati Uniti. Questo tema a casa mia è sempre stato un argomento di conversazione», spiega Dargen D’Amico. Rapper, cantautore, produttore e giudice nelle due ultime edizioni di X Issue, porta in gara al Competition Onda alta, una provocazione dance in cui, accanto alla festa della melodia e del ritmo ballabile, racconta di un barcone pieno di migranti che naviga, a largo di Malta, nel mare in tempesta.

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Con Dove si balla lei invitava a ballare per uscire dal lockdown, in Onda alta si balla come sul Titanic.

«Una canzone può nascere guardandosi dentro o guardando fuori: questa è nata dalla considerazione che l’anno che si è chiuso è stato quello con il maggior numero di ingressi di irregolari, più di 150 mila persone. Noi siamo tutti abituati a camminare e a spostarci da un punto a un altro, l’essere umano non è nato dove siamo adesso, ci siamo arrivati».

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Qual è un possibile approccio al tema?

«Sono cresciuto in una famiglia emigrata a Milano dalla Sicilia, peraltro in un gruppo familiare in cui tutti i membri sono emigrati negli Stati Uniti. Ho riletto vecchie lettere in cui venivano descritte le difficoltà dei primi giorni, le differenze nello stile di vita. Ho ascoltato anche tanti racconti sulle difficoltà che la mia famiglia ha dovuto affrontare quando è arrivata Milano, vivere in sette in trenta metri quadri. Sono dinamiche che si ripetono ogni qual volta si va a tentare la fortuna, a rappresentare la propria dignità». Abbiamo cominciato a parlare con la luce del giorno e Dargen D’Amico indossava gli occhiali, poi sul terrazzo si è fatto buio pesto ma gli occhiali non li ha mai tolti.

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(agf)

Ha una grande passione per gli occhiali.

«Per me gli occhiali sono un accessorio quotidiano, come le calze, ma sottovalutavo quanto possano attirare l’attenzione in chi non se li aspetta. Io li porto per tante ragioni ma la prima è forse più chiara per me che per gli altri: mi impegno a fare questo mestiere cercando però di rimanere anonimo, di avere un filtro anche dai social. Non vorrei perdere il contatto con cose semplici che mi piacciono, come prendere la metropolitana».

A proposito di social, c’è chi usandoli vive rovinose cadute. Molti artisti poi fanno da soli, si fanno prendere la mano. E social significa anche odiatori.

«Non ho particolare passione per il racconto di me stesso, perché ritengo di essere ancora in una fase evolutiva, voglio avere un dialogo con gli altri naturale e non a imbuto, come sui social. Non credo che abbiano passato il segno, i social sono il passaggio del segno. Si basano sull’odio: sono l’odio e l’antipatia che ti inchiodano per due ore a scrollare sul telefonino. I social sono stati studiati per questo, per aiutarti a esprimere odio, per fartelo assaporare. Un grande fuoco che brucia e produce energia: il traffico dati su cui si basa tutto».

Oltre all’odio, l’invidia.

«In un posto come l’Italia in cui in pochi detengono il 50 per cento della ricchezza è normale che si generi dell’invidia, mi stupirebbe se fosse il contrario».

La redistribuzione del reddito non è nell’agenda del governo.

«Quando non si gioca tutti con le stesse regole, è allora che scatta l’invidia sociale».

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Lei ha sempre un look ricercato e molto colorato, si avvale di un armocromista?

«L’armocromista ottimizza i tuoi punti forti con dei colori, invece a me piacciono i colori per le sensazioni che mi danno, non necessariamente perché mi stiano bene indosso. Ho la possibilità di avere una stylist bravissima, mi segue da tanto tempo».

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(agf)

A X Issue ha litigato con Morgan.

«C’è stata un po’ di delusione perché tra i giudici c’period l’intenzione di concentrarci sul lavoro con i ragazzi, di fare un passo indietro. Poi so benissimo che in un programma come quello ci sono dinamiche da rispettare e un pochino di television urlata va fatta. La mia delusione è stata quando le urla hanno coperto i ragazzi. Non conoscevo perfettamente Morgan nel meccanismo televisivo, è stato comunque qualcosa di mediatico, più che di personale tra di noi. E se accetti di fare quel tipo di television come giudice, e quindi come attore, non giochi con il fango pretendendo di uscirne pulito».

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