Maccio Capatonda: “I social sono ormai tecniche di spionaggio. L’algoritmo tira fuori la parte peggiore di noi”

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Con il suo movie Il migliore dei mondi, da qualche mese disponibile su Prime Video, Maccio Capatonda ha lanciato una riflessione, ironica ma non troppo, sul rapporto tra la società attuale e la tecnologia. Attraverso le avventure del protagonista, Ennio, un tecno-dipendente catapultato nel 1999, senza smartphone, social e con laptop e modem fermi agli albori, l’attore e regista ha messo in luce disagi e nevrosi del vivere quotidiano dei nostri tempi, schiacciati tra competitività esasperata, narcisismo e timore delle proprie emozioni. Riflessioni lucide, che riportano a recenti fatti di cronaca (dal caso Ferragni alla morte della ristoratrice di Lodi) che hanno riacceso il dibattito sull’uso e l’abuso di social e internet.

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Capatonda, come è arrivato a questo movie che finisce per risultare sempre più connesso con l’attualità più stretta?
“È stato un lavoro lungo, faticoso, durato anni. Le domanda principale che mi sono posto è stata ‘noi come saremmo senza tecnologia’? Cosa ci dà e cosa ci toglie? A livello umano siamo veramente progrediti? Ci siamo evoluti? Nel movie il protagonista va in tilt per problemi pratici, dalla mancanza del navigatore all’assenza dei sensori di parcheggio, ma è spaesato da un punto di vista emotivo. Non ha più i suoi anestetici contro la sua emotività. Oggi la tecnologia è schiava del mercato, ci viene venduta e diventa una droga per noi. L’obiettivo di molti social è ancorarci al laptop o al cellulare per venderci pubblicità e profilarci”.

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Senza entrare nel merito, che tipo di riflessioni le hanno suscitato i recenti fatti di cronaca, dal caso Ferragni alla ristoratrice di Lodi?
“La società ti può esaltare e distruggere in un attimo. La tecnologia amplifica la sensazione del sentirsi in piazza, in una situazione simile a quella dei tempi della Rivoluzione francese. Solo che le conseguenze di questi fatti sono instant. E diminuendo tempo e spazio tra eventi e conseguenze aumenta la frequenza e la possibilità che questi fatti così negativi possano avvenire. Il problema non è nel mezzo che usiamo, ma nell’interazione che ne facciamo. L’uso che ne viene fatto è quello che la società, l’algoritmo, ci sta spingendo a fare, e può far venire la parte peggiore per noi. In questo sistema le notizie brutte sono quelle che finiscono per avere più valore. Quello che fa scandalo vende di più, le notizie sono diventate un mercato, e la morbosità è l’aspetto che paga di più”.

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La tecnologia ci ha reso più cattivi?
“Ha un po’ amplificato le potenzialità dell’essere umano, nel bene e nel male, quindi è una cassa di risonanza, un megafono che però possiamo usare in ogni momento per dire la nostra. È più facile accedere alle nostre opinioni, diventa tutto una grande piazza che può esaltare un influencer o distruggerlo in un attimo. Certo ci ha permesso di esprimere anche la nostra cattiveria, che però è preesistente: adesso se la nostra opinione è cattiva viene detta al mondo, con tutte le conseguenze del caso”.

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Nel movie aun certo punto Ennio cube che la gente si nasconde nel internet per non comunicare le proprie emozioni. Però anche l’odio è un’emozione, e nessuno sembra volerlo più nascondere.
“Nel movie dico che la tecnologia ci allontana dalla vita reale. Anche il protagonista del mio movie, quando entra nel virtuale, manifesta emozioni. Anche lì siamo in grado di esprimere odio, viene fuori la morbosità (come quella generata da certi fatti di cronaca nera) anche grazie ai media. Molte persone guardano solo al gossip, le cose che interessano di più sono i pettegolezzi, dalle storie d’amore alle persone che si uccidono per una gogna mediatica. Tutta questa massa di informazioni finisce per inaridirci nella vita reale. Posso provare emozioni guardando un movie, ma nella vita reale mi guardo bene dal mostrarle. Le gratificazioni che arrivano dai like ci fanno stare bene e questa soddisfazione viene vissuta come una droga, che però non riesce mai a regalarci davvero felicità. Ho cercato di portare il protagonista del movie a capire che, nel modo in cui vive, non è felice. Dovremmo connetterci con noi stessi e capire che non stiamo per niente bene, ma non riusciamo a farcela”.

In un’altra scena Ennio, non potendo contare sui social, ricostruisce il profilo della ragazza a cui è interessato utilizzando mezzi di fortuna, da foto scattate di nascosto ai suoi gusti personali captati con microfoni nascosti. E poi va casa e costruisce un pannello simile a un profilo di quelli utilizzati su Fb o Instagram perché non conosce altre modalità.
“Il social di oggi è una tecnica di spionaggio. E ci piace anche essere spiati. Il social fa emergere le caratteristiche peggiori di noi. All’inizio su Instagram venivano postate solo foto scattate a soggetti o paesaggi, adesso è un catalogo di facce. Web, agli albori, period una grande enciclopedia, adesso dedichiamo attenzione solo ai nostri argomenti preferiti. Period un mezzo che doveva servire a farci scoprire cose, doveva farci evolvere spiritualmente, invece abbiamo plasmato la tecnologia per i nostri voleri più beceri”.

Il personaggio di Pietro Sermonti, fratello del protagonista, non perde mai la speranza di poter mettere in atto una rivoluzione. Lei riesce a immaginare una rivoluzione sull’uso della tecnologia?
“Il mondo che viviamo, alla superb, è quello che abbiamo voluto. In fondo la rivoluzione non vogliamo farla, questo mondo è l’espressione di una generazione, quella degli anni 80, che non ha avuto particolari problemi, non ha vissuto grandi tragedie e che si è costruita un mondo ‘secure ‘ in cui tutti siamo più protetti e controllati. Un mondo per persone molto fragili emotivamente. Dovremmo non volere più questo tipo di universo, ma servirebbe che ognuno vivesse una trasformazione spirituale. Sento che c’è un movimento di rinnovamento, vedo tanti ragazzi che hanno a cuore l’ambiente, che vogliono vivere senza smartphone. Bisogna puntare sui giovani. Dobbiamo restare vigili ai cambiamenti e cercare di governarli. Molti considerano il capitalismo un’entità a parte, inattaccabile, ma è l’uomo che lo vuole e lo alimenta”.

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