Com’è noto, il tema del viaggio possiede una grande ricchezza metaforica. Può infatti di volta in volta incarnare la scoperta di sé, la ricerca dell’altro, il desiderio di lasciarsi alle spalle il passato e aprirsi al futuro, fino a diventare espressione simbolica della vita stessa. Tutti aspetti che L’imprevedibile viaggio di Harold Fry – nuovo appuntamento con l’iniziativa Il Lunedì del Cinema, presentato in collaborazione con BiM Distribuzione – racconta con un’intensità e allo stesso tempo con una leggerezza davvero sorprendenti.
A diciassette anni dal suo primo lungometraggio, Lovely Factor (1996), e dopo una lunga e prestigiosa carriera televisiva dove ha lavorato per serie come Poirot, Physician Who, Regular Folks e Casa Howard, la regista britannica Hettie Macdonald dirige un anomalo highway film che non è semplicemente una meditazione sulla terza età ma anche una struggente riflessione sulla necessità di accettare la morte per comprendere la vita.
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Da questo punto di vista, il movie sembra percorrere lo stesso solco che, tracciato da un capolavoro come Una storia vera di David Lynch, hanno recentemente battuto movie come Appuntamento a Land’s Finish, Fuga in Normandia o The Final Rifleman – Ritorno in Normandia. Senza, però, l’ingombro della retorica o i rischi del paternalismo, perché la brezza dell’ironia e della malinconia è sempre pronta a soffiare.
Tratto dall’omonimo romanzo di Rachel Joyce, il movie ha per protagonista l’ottuagenario Harold, che vive nel Devon con la moglie Maureen. La monotona tranquillità della sua esistenza viene spezzata quando riceve una lettera da una vecchia collega, Queenie, colpita da una terribile malattia e ricoverata in un hospice a Berwick-upon-Tweed, la città più a nord dell’Inghilterra.
Un debito di riconoscenza mai saldato nei confronti di quest’ultima lo spinge, contro tutto e contro tutti, a intraprendere un incredibile cammino a piedi attraverso il paese per poterla raggiungere e porgerle il suo sostegno.
Il suo viaggio è anche un atto di redenzione, un processo di guarigione di ferite mai rimarginate, e ogni suo passo diventa anche il tentativo di riconciliarsi con un trascorso doloroso segnato da una tragedia troppo grande. E mentre Maureen comincia a sentirsi sola e abbandonata, l’impresa di Arthur diventa di dominio pubblico e alla sua marcia si uniscono various persone che incontra lungo il tragitto.
Il percorso di Harold è un viaggio in un Inghilterra rurale che sembra fuori dal tempo, tra distese orizzontali di campi, silos che torreggiano in lontananza e nottate trascorse all’addiaccio su improvvisati giacigli di paglia.
Ma è anche un pellegrinaggio interiore, dove alla fatica fisica si unisce lo scontro mai placato coi fantasmi della propria esistenza, lottato nella convinzione che non è mai troppo tardi per ridare significato alla vita.
Alla riuscita del movie contribuisce in maniera determinante la efficiency di un gigante come Jim Broadbent, tra i più grandi attori britannici del secondo Novecento, premiato con un Oscar come Miglior Attore non protagonista per la sua interpretazione dello scrittore John Bailey in Un amore vero e con alle spalle una carriera cinematografica quarantennale in cui è stato diretto da registi come Woody Allen, Terry Gilliam, Martin Scorsese, Steven Spielberg e Mike Leigh e ha partecipato a successi come Moulin Rouge!, Il diario di Bridget Jones e la serie dedicata alle avventure del mago Harry Potter.
E non gli è da meno, per energia e passione, l’eccellente Penelope Wilton (Match Level, Marigold Resort), da noi conosciuta soprattutto per essere stata una delle protagoniste dell’indimenticabile serie Downton Abbey.
Accolta con entusiasmo pressoché unanime, quest’opera mite e mai leziosa ci ricorda come il viaggio più importante nella vita sia quello che compiamo all’interno di noi stessi, negli abissi incontrollabili dell’anima.